Alberto Moravia e lo sguardo antropologico


Il saggio intende esaminare il romanzo L’uomo che guarda di Alberto Moravia, edito nel 1985. Scopo principale del lavoro è quello di individuare e seguire la componente antropologica che presiede alle scelte narrative dell’autore. Nel romanzo, in particolare, il fenomeno della scopofilia, che contraddistingue il protagonista, diventa il fondamento di indagine per capire come avviene e come funziona il nesso relazionale tra l’individuo e le cose (centrale per tutta la scrittura dell’autore già dai tempi del primo romanzo esistenzialista del ’29). Medesima importanza è assegnata all’aspetto saggistico che rende il romanzo un esemplare significativo delle sperimentazioni letterarie di quegli anni. Nella prima parte del testo sono state confrontate le scelte moraviane con alcuni dei paradigmi essenziali della civiltà letteraria novecentesca gravitante attorno al ruolo e allo statuto del personaggio. È stato dato ampio spazio alla discussione critica e bibliografica, a partire dalle pagine fondamentali di Giacomo Debenedetti, Luigi Baldacci, Cesare Garboli e altri studiosi.Continua la lettura…

Mitopoiesi sociale nel romanzo volponiano


Pensare a Paolo Volponi e pensarlo poeta parrebbe assurdo. Eppure, dovremmo. L’iniziale produzione poetica di un esordiente letterato, infatti, a ben guardare nei suoi romanzi, ne costituisce l’ossatura come la sceneggiatura, per una prosa, la quale, via via, opera dopo opera, si faceva più strutturata e quindi matura, non solo nell’impianto stilistico ma anche nelle tematiche, soprattutto sociali. Il meccanicismo della prima ora diviene ossessione per la riduzione dell’uomo a macchinario ma anche sconforto per la perdita di identità tra il microcosmo individuale e il macrocosmo reale. Il dramma che consuma ogni protagonista è lo stesso, amplificato, della giovanile paura di dare forma alle proprie pulsioni e di confrontarle con un mondo da accettare, più comprendere. Così l’ultimo romanzo dello scrittore pare rappresentare la sintesi tra queste due istanze, nella fusione dell’autobiografia con una compiuta maniera di raccontare, descrivendo.Continua la lettura…

Play by Chat. Il gioco di ruolo come forma di scrittura collettiva


Partendo dalla definizione che Paul Benjamin Lowry dà di scrittura collettiva si può arrivare a dimostrare come essa venga utilizzata nel gioco di ruolo e, nello specifico, nel Play by Chat, che è un tipo di gioco di ruolo on line. Questi si possono sviluppare attraverso mail, forum e chat. Chiaramente, il Play by Chat – come s’intuisce dal nome stesso – si sviluppa prettamente attraverso chat.

Secondo la definizione di Lowry: «Scrittura collettiva è una forma di scrittura estremamente essenziale, un atto di gruppo in cui l’importante è continuare ad aumentare», e «continuare ad aumentare» è anche uno dei principi base del Play by Chat.

Dalle origini fino a oggi, il gioco di ruolo è strettamente legato alla narrazione, alla voglia di raccontare e scrivere collettivamente in un esercizio che accomuni passioni ed esperienze condivise.Continua la lettura…

Uber Pulga, il partigiano con la camicia nera


Nelle province di Mantova e di Reggio Emilia, l’ufficiale dei Bersaglieri Uber Pulga è ricordato sia come partigiano sia come fascista: perché? Il giornalista Alessandro Carlini, suo lontano parente, in Partigiano in camicia nera. La storia vera di Uber Pulga, ha ricostruito il dramma di un giovane patriota che, deluso dal Fascismo e vedendo l’Italia devastata dalla guerra, si mise contro la dittatura pagando con la vita. Nato nel 1919 a Ferrara, Pulga è un giovane entusiasta del Fascismo, in cui vede riflessi i suoi sentimenti patriottici. Nel 1944, un capitano delle SS lo incarica di fingersi un disertore della Wehrmacht, infiltrarsi tra i «banditi» della sua provincia e sabotarne le armi; in questa azione uccide un giovanissimo partigiano. Nel gennaio del 1945 è nominato sottotenente da Mussolini: Uber gli stringe la mano e proprio ora la sua coscienza si agita: «Ha seguito Mussolini fin lì, per cinque lunghi anni di guerra e di morte. Per ritrovarsi con l’Italia divisa e distrutta, lo straniero in casa, il rimorso dentro per la gente ammazzata. “A che cosa è servito?” si chiede. La testa è da un’altra parte, passa in rassegna i camerati morti in battaglia, i partigiani uccisi, i civili raccolti a pezzi dopo i bombardamenti». Decide così di passare davvero «dall’altra parte», ma indossando la camicia nera «per ricordarsi quello che è stato e che non vuole più essere». Mentre preleva alcune armi per i partigiani in un magazzino militare a Reggio Emilia, tre fascisti lo arrestano; interrogato da un comandante della Guardia Nazionale Repubblicana, nonostante le botte massacranti, non parla. Alcuni giorni dopo, un processo-farsa militare decreta la sua fucilazione per diserzione e arruolamento tra i «banditi». Il 24 febbraio 1945, davanti al plotone d’esecuzione, «la ventata di proiettili gli congela quell’ultimo “Viva l’Italia!” che tiene in corpo».Continua la lettura…