Dante e Kant: fede, teologia e persecuzione del bene. Un accostamento forse troppo azzardato?


Il lavoro prende le fila dalla lettura delle opere dantesche (in particolare la Commedia e il De Monarchia) finalizzata a trovare una definizione condivisibile di teologia e fede in Dante. Immergendosi nella lettura ci si rende conto che molti dei grandi temi danteschi – la teologia, la fede e la morale – sono condivisi, cinquecento anni più tardi, da un altro sommo studioso: Immanuel Kant. Il lavoro origina dunque da un accostamento che inizialmente può sembrare più che azzardato ma poi si rivela plausibile, quasi dovuto.Continua la lettura…

Alberto Moravia e lo sguardo antropologico


Il saggio intende esaminare il romanzo L’uomo che guarda di Alberto Moravia, edito nel 1985. Scopo principale del lavoro è quello di individuare e seguire la componente antropologica che presiede alle scelte narrative dell’autore. Nel romanzo, in particolare, il fenomeno della scopofilia, che contraddistingue il protagonista, diventa il fondamento di indagine per capire come avviene e come funziona il nesso relazionale tra l’individuo e le cose (centrale per tutta la scrittura dell’autore già dai tempi del primo romanzo esistenzialista del ’29). Medesima importanza è assegnata all’aspetto saggistico che rende il romanzo un esemplare significativo delle sperimentazioni letterarie di quegli anni. Nella prima parte del testo sono state confrontate le scelte moraviane con alcuni dei paradigmi essenziali della civiltà letteraria novecentesca gravitante attorno al ruolo e allo statuto del personaggio. È stato dato ampio spazio alla discussione critica e bibliografica, a partire dalle pagine fondamentali di Giacomo Debenedetti, Luigi Baldacci, Cesare Garboli e altri studiosi.Continua la lettura…

Mitopoiesi sociale nel romanzo volponiano


Pensare a Paolo Volponi e pensarlo poeta parrebbe assurdo. Eppure, dovremmo. L’iniziale produzione poetica di un esordiente letterato, infatti, a ben guardare nei suoi romanzi, ne costituisce l’ossatura come la sceneggiatura, per una prosa, la quale, via via, opera dopo opera, si faceva più strutturata e quindi matura, non solo nell’impianto stilistico ma anche nelle tematiche, soprattutto sociali. Il meccanicismo della prima ora diviene ossessione per la riduzione dell’uomo a macchinario ma anche sconforto per la perdita di identità tra il microcosmo individuale e il macrocosmo reale. Il dramma che consuma ogni protagonista è lo stesso, amplificato, della giovanile paura di dare forma alle proprie pulsioni e di confrontarle con un mondo da accettare, più comprendere. Così l’ultimo romanzo dello scrittore pare rappresentare la sintesi tra queste due istanze, nella fusione dell’autobiografia con una compiuta maniera di raccontare, descrivendo.Continua la lettura…

«Papè Satàn, papè Satàn aleppe»: Dante Templare contro l’Anticristo francese?


La celebre e dibattuta frase del dio Plutone «Papè Satan, papè Satan aleppe» con cui Dante Alighieri apre il canto VII dell’Inferno è stata variamente interpretata durante gli ultimi due secoli. Sovente la frase è stata ricollegata alla conoscenza da parte di Dante di qualche espressione araba: il poeta avrebbe adattato la frase araba «La porta di satana, la porta di satana, fèrmati!», oppure «Disonore, satana, disonore, satana, nella tua casa!». Negli anni ’20 del ’900, il filologo Manfredi Porena pensò che la parola aleppe significasse aleph, la lettera numero uno dell’alfabeto ebraico, che vale anche come riferimento al Primo Principio, Dio; interpretando pape come genitivo latino («del papa») e satan nel suo significato ebraico di «nemico, avversario», riferiva le parole di Plutone a Dante stesso, presentato come «Nemico del papa, primo nemico del papa!». Invece Gabriele Rossetti, padre del celebre pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti, negli anni ’30 dell’800 parafrasò la frase come «Pap’ è satana, Pap’ è satana, Signore», dove il nemico (satana) del Signore sarebbe il papa stesso. Ma quale papa: Bonifacio VIII, o piuttosto Clemente V, che – cedendo alla volontà del re di Francia Filippo IV – soppresse l’Ordine dei Cavalieri Templari proprio pochissimi anni dopo un possibile viaggio di Dante a Parigi? Queste possibilità, insieme ad altri brani della Commedia e al noto ricorrere del numero nove nella Vita Nuova, potrebbero indicare che Dante si sentiva ideologicamente vicino ai leggendari monaci-cavalieri e non è impossibile che lo fosse realmente.Continua la lettura…