di Mario Sanseverino
La confessione dei peccati è un sacramento difficile da indagare dal punto di vista storico, sia per i problemi posti dal cosiddetto sigillo sacramentale, sia perché ordinariamente la sua amministrazione effettiva non lascia tracce scritte. Un punto appare però indubbio: solo con il Concilio di Trento fu definitivamente abbandonata la disciplina antica, quella che contemplava la confessione pubblica dei peccati, e la penitenza privata, i cui antecedenti vanno ricercati tra l’XI e gli inizi del XIII secolo, diventò il solo modo di amministrare il sacramento.
I Padri Tridentini imposero una stretta normativa sulla confessione sacramentale trasformandola in uno strumento di controllo e disciplinamento. Ne sono testimonianza la riconferma tardo-cinquecentesca dell’Omnis utriusque sexus, cioè dell’obbligo di confessione annuale al parroco e il decreto Quamvis presbyteri, con cui si decise che per poter confessare da quel momento bisognava essere parroci o, in alternativa, essere approvati dal vescovo territorialmente competente con modalità a sua discrezione. Tuttavia, nel corso del Seicento la confessione si avviò a diventare da pratica sgradita a momento di incontro e di scavo interiore fortemente ricercato, così come molti confessori si trasformarono da sacerdoti visti con sospetto, da cui rifuggire, in padri spirituali apprezzati e amati. In che modo avvenne questa trasformazione apparentemente opposta alle intenzioni del Concilio di Trento, quale fu l’atteggiamento delle autorità romane nei confronti di questa svolta imprevista, quale fu il rapporto dei confessori con il contesto politico e sociale delle realtà dove operavano, quali furono le fasi di costruzione del loro prestigio e le possibilità di carriera che gli si offrivano d’innanzi. Quali furono le difficoltà affrontate dagli stessi nell’esercizio delle proprie funzioni e in particolar modo quali furono i rapporti dei confessori con le penitenti e quali gli spazi d’azione nella vita private delle stesse. Sono queste le domande sorte e lasciate aperte da questo bilancio in attesa di nuovi studi.
L’articolo completo è disponibile sul numero 2 (2019) di “Riscontri”
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Mario Sanseverino si è laureato con lode in Scienze Storiche all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Dottorando della Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università della Repubblica di San Marino, con una tesi sulle missioni e le conversioni religiose nel Maghreb in età moderna, ha sempre mostrato uno spiccato interesse per le tematiche di storia religiosa, in particolare per gli incontri e gli scontri tra le diverse confessioni. Ha organizzato, sistema e inventariato la Biblioteca di Fernand Braudel. Scrive per la rivista LaCOOLtura e ha partecipato, in qualità di giovane storico, al programma di Rai Storia Passato e Presente.