La sorprendente raccolta di racconti brevi L’ascensore e Altri Racconti di Cosimo La Gioia (Terebinto 2021) ci restituisce uno spaccato di umanità e società di cui sicuramente in molti avremo avuto almeno qualche esperienza, ma che forse non eravamo mai ancora riusciti a mettere bene a fuoco. Parliamone con l’autore.
- Cosimo, con quale singolo aggettivo definiresti nella massima sintesi questi tuoi racconti? A me viene in mente “cattivi”: come il mondo a cui riportano. Sei d’accordo? O c’è qualche altro termine che ritieni li caratterizzi meglio?
Direi che sono d’accordo con te, Carlo, a parte per i due racconti Chi ce l’ha?, in cui per me prevale l’ironia, e Sull’Etna, una piccola storia surreale basata su episodi che mi sono stati raccontati da una guida naturalistica. È vero, gli altri racconti, aventi come soggetto la vita aziendale e certe fissazioni dell’uomo, sono cattivi. Ma è anche vero che le situazioni ivi descritte sono spinte al limite, pur essendoci numerosi riscontri nella vita reale. La narrativa, ovvero la fantasia, di solito supera la realtà, sebbene in certe occasioni accada il contrario, come ben sappiamo. Ti faccio un esempio: qualche mese fa un gruppo di laureati neoassunti dalla banca d’affari americana Goldman Sachs ha chiesto di poter lavorare “solamente” 80 ore a settimana, per alleggerire le settimane lavorative di 95 ore con punte di 105. Ecco, qui la realtà è veramente cattiva. È un vero peccato, anzi una sciagura, che molti lavori interessanti vengano resi alienanti dai ritmi folli imposti dall’alto per raggiungere il vitello d’oro della produttività.
- La tua scrittura appare assai influenzata dal contesto nordeuropeo all’interno del quale ormai da molti anni vivi e lavori. Tu invece, al di là delle realistiche criticità che vediamo spesso scaturire dalle vicende da te immaginate, come ti schieri rispetto alla cultura e alle società mediterranee? Le hai felicemente abbandonate o no?
Assolutamente no, per mia fortuna aggiungerei. Ho una forte esperienza di vita internazionale, o meglio, europea, vivendo da più di trent’anni all’estero, in particolare dal 1993 a Monaco di Baviera. Uso quotidianamente inglese, tedesco e francese, il francese anche in casa essendo mia moglie belga vallone e i miei figli bilingui. Ritengo di essere aperto alle altre culture – con l’eccezione di quelle che non riconoscono la libertà individuale – e fruisco soprattutto delle culture francese e tedesca. Ho poi tanti amici europei e mia moglie e io viviamo in un ambiente in cui le coppie binazionali prevalgono. Ma la mia cultura madre è quella italiana e l’unica mia lingua madre è l’italiano. Molti anni fa ho intrapreso un percorso di riavvicinamento alla lingua italiana, tramite in particolare la vita associativa e la lettura. È poi scaturito un impulso irresistibile all’approfondimento, attraverso i primi timidi tentativi di scrittura, fino a che ho trovato il mio modus operandi e il mio ritmo nello scrivere. Ecco, nel mio caso il richiamo della foresta è stato la dolce voce della madre patria. Credo anche che tra qualche anno mia moglie e io ci trasferiremo in Italia.
Sulla cultura e società mediterranee o, più specificamente, italiane, mi accontento di un paio di spunti e di una battuta. Non è forse sempre noto che all’estero (escludendo le persone di malanimo) viene apprezzata molto la flessibilità, anche nei rapporti personali, carattere proprio di tanti italiani. Io personalmente adoro tra l’altro la nostra capacità di stare in compagnia e di saper passare in un battibaleno da tematiche serie ad altre amene e viceversa.
La battuta: se vuoi realizzare l’inferno, combina il peggio della società tedesca e il peggio della società italiana; per raggiungere il paradiso, prendi il meglio di entrambe.
- La spietatezza alienante della quotidianità del lavoro in azienda sembra essere un altro dei fili rossi che legano i tuoi personaggi e le loro vicissitudini: anche qui, quanto c’è di bagaglio di vita vissuta, piuttosto che echi, atmosfere, altro?
Come ho già detto sopra, ci sono numerosi scampoli di realtà nei miei racconti. Riguardo al racconto forse più cattivo, Gianluca e l’amministratore delegato, ci sono riferimenti all’acquisizione di Telettra, che era un gioiello delle telecomunicazioni italiano, da parte del gigante francese Alcatel, avvenuta nel 1990, e soprattutto al processo dell’ex amministratore delegato di France Télécom Didier Lombard, condannato nel 2019 per mobbing morale e istituzionale.
Più in generale, questo racconto e in parte L’ascensore e La mamma tigre vogliono essere delle riflessioni sui cambiamenti avvenuti nell’ultima trentina d’anni soprattutto nelle grandi aziende. A chi è della nostra generazione e ha esperienza di vita aziendale questa evoluzione non sarà sfuggita, mentre a tutti coloro che lavorano nelle grandi società gli eventi narrati nei racconti, pur essendo di fantasia, richiameranno certamente echi di vita vissuta.
- Parliamo dei tuoi riferimenti letterari. Ti nomino due noti autori di racconti brevi nei quali io ti ho visto un po’ specchiarti: Dino Buzzati e Tommaso Landolfi. Che ne pensi? Chi altri citeresti fra le tue ispirazioni?
Hai colto nel segno riguardo a Buzzati, del quale ho letto gran parte dei racconti e che amo per la sua eccezionale abilità nello scrivere storie sul filo del paradosso od oltre e nella caratterizzazione psicologica dei personaggi. Un racconto “buzzatiano” è ad esempio L’ascensore; qualcuno l’ha persino definito “kafkiano”.
Landolfi è meno un riferimento per me, sebbene gli sviluppi surreali in alcuni dei miei racconti possano avere delle similitudini con certe atmosfere tra il fantastico e il grottesco delle storie di Landolfi.
Un altro grande che adoro è Italo Calvino, tra l’altro anche per la sua capacità superlativa di usare l’ironia e di infondere comicità alle sue storie. Il romanzo breve Il Cavaliere inesistente è uno dei testi col più alto tasso di ironia che io abbia mai letto.
Ti cito anche Gianni Rodari, per due motivi. Primo, l’idea chiave per L’ascensore mi è venuta in mente in maniera spontanea dopo aver letto che lui stesso scrisse un racconto con quel titolo. Secondo, perché il meccanismo creativo da lui descritto in La Grammatica della fantasia, che potremmo sintetizzare con “Come un sasso gettato in uno specchio d’acqua genera onde concentriche, così anche un concetto gettato nella mente la eccita generando nuovi concetti e associazioni di idee”, descrive benissimo il modo in cui nascono alcuni spunti per i miei racconti.
- Per tirare le somme: ci sono soluzioni a questo nuovo, moderno e dinamico male di vivere? Nel tuo libro quasi mai ne troviamo: tu, ne conosci?
Per cominciare, in Gianluca e l’amministratore delegato la variante “Gianluca 2” termina in una maniera almeno parzialmente positiva, per cui nel racconto si possono trovare alcuni tentativi di risposta.
Più in generale, una prima risposta alla tua domanda esistenziale può essere descritta con la formulazione “La cooperazione finché possibile, la competizione quando necessario”. È una filosofia di vita che applico sistematicamente, cercare la cooperazione con le persone che di cooperazione sono capaci: è piacevole ed efficiente. Guarda invece quanta competizione inutile e quanti conflitti superflui nascono in tutto il mondo nelle circostanze più diverse, e quante energie personali vengono sprecate in questo, invece di dedicarle a fini più costruttivi.
Oltre alla mia esperienza diretta, ti posso citare un libro con basi scientifiche, “Supercooperatori. Altruismo ed evoluzione: perché abbiamo bisogno l’uno dell’altro”, di Martin Nowak: l’evoluzione viene spesso presentata come un meccanismo prettamente competitivo, e la competizione viene elogiata come meccanismo principale del progresso. Invece Nowak ci dice che la cooperazione è un motore evolutivo altrettanto potente. Io sono convinto che Nowak abbia ragione.
Ci sono dunque ragioni profonde, empiriche e scientifiche, per applicare il motto suddetto quando possibile.
Una seconda risposta risiede nell’augurio che ciascuno possa trovare un’attività che diventi una passione, che sia ovvero più di un hobby, meglio ancora se creativa: la creatività è un contrappeso formidabile alle esigenze dettate dal mondo della produttività, che tanti abitano anche loro malgrado. Bastano un po’ di tempo libero e un pizzico di energie residue, e ognuno deve avere il diritto di ritagliarsi il suo proprio spazio personale.
intervista a cura di Carlo Crescitelli