Il geco e l’umanità nascosta – Intervista a Marco Semeraro



Marco Semeraro, autore de Il geco senza coda, ci accompagna in un viaggio narrativo che unisce memoria, diversità e introspezione. Ambientato nel Sud Italia degli anni ’80, il suo romanzo offre uno sguardo originale sulla società e sulle sue contraddizioni attraverso gli occhi di un piccolo rettile spesso ignorato o temuto. In questa intervista, l’autore condivide le radici della sua ispirazione, il significato profondo del suo protagonista e la sua visione della scrittura, rivelando il suo rapporto con la narrazione e il valore della diversità nelle dinamiche sociali e personali.

  • Da dove nasce l’idea di affidare la narrazione a un geco? Qual è il significato simbolico dietro questa scelta?

Ho scelto il geco perché simboleggia la diversità. Un essere che suscita spesso repulsione e viene facilmente rifiutato. Tuttavia, proprio in questa diversità risiede la sua forza e la sua capacità di raccontare una prospettiva unica. Poi c’è un motivo legato ad un episodio realmente accaduto. Se non fosse stato per il geco, non saremmo mai riusciti a sfuggire al rogo che avvolgeva la struttura dove eravamo in vacanza, in Calabria. Una ragazza della comitiva non riuscì a dormire, terrorizzata dalla presenza del geco nella sua stanza. Fu proprio lei, grazie alla sua vigilanza, a notare le fiamme nel bosco adiacente. Regalare il ruolo del protagonista era il minimo che potessi fare per ringraziarlo. Come ho già detto, il geco rappresenta la diversità in tutte le sue sfaccettature. 

  • Il romanzo è ambientato nel Sud Italia degli anni ’80. Cosa rappresenta per lei questo contesto storico e sociale? Il geco osserva e racconta le vicende di una famiglia e di un quartiere. Quanto è importante lo sguardo esterno per cogliere certe dinamiche sociali?

La fantasia pesca dal reale e di reale nel mio romanzo c’è il quartiere e il contesto sociale in cui sono cresciuto. Un tessuto sociale fatto di povertà, di stenti, di pregiudizi. Tessuto su cui è difficile dipingere qualcosa di aulico. Le fibre devono avere la stessa consistenza. Non è permesso a nessuno essere diverso o fare qualcosa di diverso, qualcosa che non sia comprensibile o ritenuto normale da chi è parte integrante di quella tela. 

Un osservatore esterno non ha le stesse limitazioni di chi è immerso nelle proprie esperienze, ed è in grado di notare sfumature, contraddizioni e aspetti nascosti che potrebbero non emergere se non si avesse un punto di vista distaccato.  

  • Il romanzo alterna momenti di riflessione e descrizioni di vita quotidiana. Come ha lavorato sull’equilibrio tra questi due elementi?

Non c’è stata una pianificazione e/o una progettazione di base. Anche in questo caso serve un osservatore esterno per valutare se c’è equilibrio fra i due elementi nel mio racconto. Non sono in grado di rispondere. 

  • Il romanzo esplora il tema della diversità e dell’emarginazione. Qual è il messaggio che vuole trasmettere al lettore?

Il romanzo si apre con una dedica: “All’unicità di ogni essere vivente”. Nessuno deve essere escluso o emarginato. Ogni essere vivente ha il diritto di esistere, di vivere e di scrivere la propria storia. Il mio è proprio un invito alla comprensione e alla coesistenza pacifica. 

  • Sta già lavorando a un nuovo romanzo? Qual è il suo rapporto con la scrittura? È un processo istintivo o più metodico?

Mi piace scrivere, specialmente quando ho qualcosa da dire. In questi mesi sto solo immagazzinando informazioni (esperienze dirette e indirette) e leggendo molto. L’idea di un nuovo romanzo c’è, ma è prematuro parlarne. La mia scrittura non è mai metodica, forse perché il metodo mi allontanerebbe da ciò che sono. Direi che il mio è un processo istintivo, un processo che mi permette di raccontare le mie emozioni, anche quelle celate.

a cura di Gianluca Amatucci