Autopsia di un’emozione di Ilaria Caserini, PubMe 2019, era tra i romanzi che hanno concorso, distinguendosi, al nostro premio della scorsa primavera, “Un libro in vetrina”. L’autrice ha gentilmente acconsentito alla nostra richiesta di rispondere, a favore dei nostri lettori, a qualche domanda su questo suo coinvolgente lavoro.
- Innanzitutto: “autopsia” nel titolo, “incisione a y” nell’incipit… tu sei un medico, Maria Ilaria? Considerato anche il tono puntuale e impeccabile delle numerose argomentazioni scientifiche presenti nella storia, tutto lo lascerebbe supporre… o è forse la tua scrittura ad essere terapeutica, come di certo curativi e salvifici sono i percorsi dei tuoi personaggi?
No, non sono né un medico, né una psicoterapeuta; sono semplicemente una persona che ha toccato con mano la depressione, avendone sofferto io stessa e avendone sofferto persone a me molto vicine. Ho acquisito nozioni scientifiche e approfondimenti documentandomi, parlando a lungo con esperti del settore. E, sì, per me la scrittura è stata ed è tuttora terapeutica come spesso lo è l’arte, in ogni sua forma. Creare, esprimersi, dare vita a progetti partoriti con passione e dedizione sono preziosi mezzi per rielaborare traumi, incassare colpi, raggiungere consapevolezza ed equilibrio, trovare e preservare serenità.
- La tua protagonista – anzi i tuoi due protagonisti – tirano entrambi le fila delle loro esistenze tristemente accomunate, a più di cinquant’anni di distanza l’una dall’altro, dallo stesso dolore antico legato al disagio psicologico, e alla dura battaglia per uscirne… quali sono state invece le tue motivazioni di autrice, nel voler affrontare, in questa specialissima e personalissima forma narrativa, un tema tanto delicato e difficile?
Di base sono presenti passione e buona predisposizione alla scrittura. Ho sempre amato creare storie e mi riesce bene farlo, ma ciò che, più di tutto, mi ha spinto a scrivere “Autopsia di un’emozione” sono stati il desiderio e la presunzione di tentare di aiutare chi, come me, conosce da vicino questo terribile male.
- Psicofarmaci e psicoterapia: sono davvero due strade così dibattute come leggiamo nella storia che racconti?
Se aprissimo un dibattito a riguardo, potremmo parlarne per ore e ore. Psicofarmaci sì? Psicofarmaci no? Psicoterapia utile? Esistono molte correnti di pensiero, alcune basate su evidenze scientifiche, altre forse un po’ troppo “campate per aria”. Ciò che mi sento di dire io, che, ribadisco, non sono né medico, né psicoterapeuta, è che il mio vissuto e la mia personale esperienza mi hanno fornito ottimi motivi per pensare che è tutta questione di sinergia. Vale per molti aspetti della vita, quasi tutti, direi: non è un solo fattore che determina un risultato, ma è la sinergia fra determinati fattori. Se parliamo di ansia, attacchi di panico, depressione, gli psicofarmaci giusti, associati a una valida psicoterapia e a un determinato stile di vita, possono essere la chiave vincente per ritrovare serenità.
- Parlavo del tuo libro con un’amica terapeuta – sai, noi altri recensori e intervistatori ci documentiamo sempre, prima di affrontare voi autori – e lei a un certo punto mi fa: “è un mandato generazionale”. E allora mi si accende una lampadina… ecco una bella chiave di lettura di quel che accade attraverso i decenni, chissà se era un obiettivo consapevole: ecco, guarda, te lo chiedo.
“Mandato generazionale”, interessante spunto di riflessione. Più che un mandato generazionale, il mio libro ha avuto (ha tuttora), tra gli altri, anche l’obiettivo di delineare un confronto tra la depressione ieri e la depressione oggi. La depressione non era compresa e accettata ieri come spesso non viene capita e accettata oggi, ma la situazione è di certo migliorata. Cinquanta anni fa, se soffrivi di depressione venivi considerato folle e rinchiuso in manicomio, torturato, privato della tua dignità; oggi, grazie al cielo, i manicomi non esistono più e, piano piano, certe problematiche vengono comprese sempre di più anche se la strada da percorrere è ancora lunga.
- Beh, a dirtela tutta, la mia amica ha anche fatto delle considerazioni apparentemente un pochino più ciniche, circa il buon numero di fidanzamenti che, durante e dopo le terapie, finiscono spesso rottamati in un baule virtuale di ricordi, e chissà perché pure questo mi ha ricordato qualcosa… ne parliamo magari, senza spoilerare troppo?
L’obiettivo principale di una psicoterapia è fornire al paziente gli strumenti per imparare a conoscersi, in modo che possa raggiungere consapevolezza e trovare equilibrio e serenità. Quindi è probabile, anzi, auspicabile, che, durante e dopo la terapia, un paziente arrivi a tagliare i rami secchi che impediscono la sana evoluzione della sua esistenza. Rapporti amorosi, presunte amicizie, frequentazioni di vario tipo, una volta analizzata a dovere la propria vita, possono rivelarsi la causa (o la concausa) del malessere oppure, magari, non ne sono la causa, ma possono rappresentare, invece, un malsano appiglio al quale ci si aggrappa per cercare di stare a galla, un anestetico per il dolore che ostacola il cammino verso la serenità.
- Divertiamoci adesso un po’ con qualcosa di molto meno grave, che anch’io ho in comune con la tua protagonista Anna, e forse anche con altre nostre lettrici o lettori: il tedio domenicale. Ne soffri anche tu? Qual è il rimedio?
Ne soffrivo anni fa; adesso per fortuna sono uscita dal tunnel J. Personalmente, credo che tale tedio sia dovuto alla mancanza di stimoli, alla prevaricazione dell’insoddisfazione e quindi, per ovviare al problema, sarebbe opportuno regalare al nostro corpo e al nostro spirito momenti all’insegna di ciò che più piace fare, scelti con accuratezza in base ai gusti personali.
- E veniamo ora ai luoghi del tuo romanzo. Bondo Basso, Cangino, Viero, il fiume Pregnolo, la casa di cura psichiatrica Sant’Emilio di Milano: io li ho cercati su Google, ma non ho trovato mai nulla. Sappiamo però che gli eventi si svolgono in Lombardia, e che tu sei nata e vissuta a Casalpusterlengo: e allora, fino a che punto si tratta di geografia immaginaria?
I nomi geografici presenti nel romanzo sono tutti inventati, sono frutti della mia fervida immaginazione; così come sono nomi di fantasia quelli dei personaggi del libro anche se, ammetto, un lettore attento, che mi conosce di persona, potrebbe cogliere delle somiglianze fra luoghi inventati e luoghi reali del mio vissuto; idem per i personaggi.
- Il tuo nuovo libro nel cassetto. Storie simili, o tutt’altro?
Nel cassetto, così come in testa, ho tanti progetti, ma poco tempo libero per poterli attuare. Sono mamma, pseudo-moglie, lavoratrice a tempo pieno, figlia, zia e anche prozia, ho una vita intensa e poco tempo, ahimè e sottolineo mille volte ahimè, da dedicare alla mia grande passione. Non ho smesso di scrivere e in cantiere ci sono due libri: uno strettamente collegato al primo e l’altro è una raccolta di racconti; quando vedranno la luce non ne ho idea. Inoltre, sarà pubblicata a breve una raccolta di racconti, tra cui anche uno fantasy scritto da me, nell’ambito di un progetto ideato dalla mia casa editrice.
- Maria Ilaria, grazie del tempo dedicatoci e della tua bella apertura al dialogo. Proprio per questo, concludendo, mi viene da chiederti a chi consiglieresti maggiormente la lettura di “Autopsia di un’emozione”. Più a chi sia stato/a sia suo malgrado toccato/a da esperienze e drammi del genere, o viceversa più a chi abbia sinora goduto della fortuna di non esserlo? In altre parole, per la tua missione di autrice, è più importante la razionale consapevolezza o l’umana empatia?
Una cosa non esclude l’altra. Consiglio il mio libro sia a chi soffre, o ha sofferto, di depressione, sia a quelli che hanno la fortuna di non aver mai incontrato sul proprio cammino tale piega. Ai primi lo consiglio e li esorto a non arrendersi mai, una rinascita è possibile, anche se difficile. Inoltre, un pensiero speciale va a coloro i quali vivono il male oscuro in silenzio, nell’ombra, incapaci di chiedere aiuto perché troppo impauriti, bloccati dalla vergogna o dal timore di non essere capiti perché spesso è la depressione stessa a non essere capita, a essere sottovalutata e, quindi, è proprio per questo che consiglio questo romanzo anche a chi la depressione non l’ha mai provata sulla propria pelle. È un male invisibile, ma spietato, è qualcosa che non si vede, non si tocca, ma c’è ed è devastante. Spesso la depressione viene scambiata per pigrizia, per scarsa forza di volontà, per sciatteria, ma queste possono essere una conseguenza del male oscuro, un male che esiste, è reale e che deve essere compreso, accettato e combattuto come tale.
intervista a cura di Carlo Crescitelli