Saverio Ferrara, autore e docente di Discipline Plastiche, offre con i suoi volumi una riflessione approfondita sul rapporto tra memoria individuale, narrativa storica e immaginazione creativa. Nato a Reggio Calabria e oggi residente a Napoli, Ferrara ha trovato nella scrittura uno strumento per indagare il passato, rivalutare luoghi della memoria e dare voce a vicende dimenticate.
Attraverso opere come Uno sguardo dalla fessura, Lo stretto infinito e il più recente L’aria del rettangolo, l’autore intreccia autobiografia, ricostruzione storica e finzione letteraria, invitando il lettore a considerare criticamente il significato della memoria storica e la necessità di preservare il legame con le proprie radici.
In questa intervista, Saverio Ferrara discute con noi le origini della sua passione per la scrittura, le complessità affrontate nel processo creativo e il suo impegno per promuovere una narrazione che affronti temi di profonda rilevanza storica e sociale.
- Quando e perché Saverio Ferrara si avvicina al mondo della scrittura?
Mi è sempre piaciuto mettere su carta le mie sensazioni, soprattutto quando si trattava di questioni inerenti l’attività professionale nella scuola. Negli anni 90 dopo aver girovagato tra istituti d’arte e licei artistici della regione, giungo finalmente a Napoli dove, anche corroborato dalla sindacalizzazione, ho espresso con scritti nei vari istituti, i miei pareri e opinioni. Comunque, ho avuto sempre in mente di raccontare la parte più felice della mia vita, l’infanzia e parte dell’adolescenza nella terra di origine, cosa che ho fatto realizzando dopo la quiescenza con il mio primo libro Uno sguardo dalla Fessura.
- Ci sono autori che l’hanno influenzata?
Francamente non ho autori di riferimento, leggo ciò che mi capita. Spesso lascio a metà ciò che leggo. L’ultimo impegno di lettura è stato La casa del sonno edito da Feltrinelli di Jonathan Coe, ma soltanto per poche pagine. Adesso staziona sul comodino in attesa di essere ripreso. No! Me ne lagno. Ma sono un lettore a corrente alternata. Mi piace invece scrutare la gente, osservare l’appiccicoso mondo che li avvolge, i particolari, le stranezze, i gesti, le espressioni, descrivere i modi di fare delle persone.
- Il tempo per scrivere quando lo si trova? C’è un momento particolare della giornata?
Scrivo al mattino una volta sbarbato e vestito, scarpe comprese. È il momento più produttivo diciamo intorno alle undici o qualcosa in più, a seconda dei disturbi o seccature. Poi devo uscire, come se dovessi prendere aria . Non importa dove vado o per cosa , è un modo di ricaricare di immagini la mente. Anche il pomeriggio dedico alcune ore, vivo la mia vita normalmente ma il pc è sempre acceso, non ho e non desidero se possibile, tempi da rispettare, quindi tutti i momenti possono essere particolari.
- Il libro L’aria del rettangolo, come nasce?
Ha origine quando dalla lettura del tutto casuale sul web, apprendo del conferimento da parte dello Stato di Israele ad un reggino come me, l’onorificenza di “Giusto tra le Nazioni” dopo la sua morte, avvenuta nel 1987. Si tratta del Maresciallo Gaetano Marrari, Comandante del più grande campo di concentramento costruito in Italia proprio in Calabria a Ferramonti, nei pressi di Tarsia, a seguito delle leggi razziali del 1938.
Incredibilmente, a distanza di oltre 50 anni, scopro di non conoscere nulla di quel luogo, chiedendomi come è stato possibile che durante i periodi nella scuola media, superiore e soprattutto in accademia, non abbia mai sentito parlare dell’esistenza di questo disonorevole neo, al centro della Calabria.
Su queste basi ho immaginato una storia che si sviluppa negli anni ’90, quando ancora il sito del campo di concentramento di Ferramonti non era stato valorizzato, ma anche nella mia città di origine, appunto, Reggio Calabria. Non è tuttavia una rivisitazione storica, ma un visionario viaggio da fermo, attraverso una romanzata storia d’amore e d’amicizia, mista a minuti frammenti storici, delle vicissitudini di due inseparabili amici antifascisti deportati nel campo di Ferramonti, insieme a detenuti di origine ebraica, nel suo ultimo anno prima e subito dopo la liberazione. Attraverso stralci di un diario, rinvenuto casualmente nella casa della vecchia zia da una degli attori, si sviluppano le vicende dei tre uomini uno dei quali, diviene voce narrante.
- L’antifascismo è un valore da condividere anche oggi. In che modalità?
Se la Costituzione vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, va da sé che l’antifascismo è sempre un valore da condividere. Il problema è appunto, come. Personalmente non credo che ci sia il pericolo di un ritorno fascista nel paese. Ci sono è vero, sacche di nostalgici che per sentirsi forti levano inutilmente il braccio in alto. Estremismi che si assimilano ad altri di segno opposto. Sacche che vanno osservate attentamente per quel che sono, come andrebbe osservato attentamente il pericolosissimo vento antisemita di questi tempi. Schegge impazzite e violente, che inutilmente tentano di destabilizzare l’arco costituzionale.
Il fatto è che è la memoria ad essere carente. Se ancora oggi, parliamo di antifascismo significa che probabilmente non è sufficiente un giorno per ricordare i periodi neri della dittatura e incidere a fondo sulle coscienze, ma bisogna intervenire in modo strutturale. Ho sempre pensato. ad esempio, senza attribuire ulteriori carichi alla già elefantiaca scuola, a cosa potrebbero realizzare soltanto utilizzando la normale didattica, in termini di immagini, sculture, pitture incisioni, musica, cortometraggi, gli studenti dei licei artistici e delle accademie, ogni singolo anno lavorando un anno per volta su un momento storico del ventennio. Dalla violenza per giungere al governo, a Matteotti, alle leggi razziali, al dramma della guerra. Ci sarebbe lavoro a iosa ogni anno su un tema diverso.
Non solo quindi, iniziative che pur importanti, si stemperano comunque in un mondo velocissimo, ma continuità… continuità. Questo ripercorrere la storia utilizzando la normale giornata scolastica per riversarla sui social, forse potrebbe essere un modo per i giovani che oggi si nutrono di immagini, suoni e di istantanee comunicazioni, di interiorizzare a pieno e strutturalmente i valori antifascisti. Ma per far questo, è necessaria una regia che al momento, non vedo.
- Ci descriva il libro Uno sguardo dalla fessura
È la prima esperienza in cui mi sono cimentato. Un mono capitolo dove ho raccontato in modo frenetico, una parte di vita con continui tuffi ed emersioni nelle profondità dei ricordi e della memoria. Un viaggio nel passato realizzato per quanto possibile in modo minuzioso, critico, particolareggiato, forse anche affannoso, sorretto da una architettura narrativa in chiaroscuro, che fa da cornice agli eventi. Un incontrollabile desiderio di rivisitare nuovamente quel palcoscenico eroso dal tempo ma nitido nelle immagini della mente, praticato con gli occhi e lo spirito del bambino di allora e quello di uomo di oggi.
- Ci descriva il libro Lo stretto infinito
L’ho definito come “un volo circolare a bassa quota sulla foresta sempre verde della
giovinezza, rasentando le cime più alte, alla ricerca di sensazioni, emozioni e amori in
essa disperse. Un libro a cui sono particolarmente legato per aver concentrato anche se non del tutto, parte della mia giovinezza prima di lasciare la mia città. È una autobiografia avvolta in più parti da ampi strati romanzati che tuttavia non offuscano i reali punti di riferimento. Forse rappresenta la parte più bella della mia vita. Un racconto che parte dal un’aula scolastica di Napoli per immergersi nella mia città per abbracciare con foga quanti più emozioni e sensazioni possibili, prima di tornare alla realtà.
- Il libro L’aria del rettangolo, appena terminato di scrivere, che sensazioni le ha regalato?
Una sensazione è certamente quella di orgoglio per aver avuto come concittadino anche se inconsapevolmente, un Giusto tra le Nazioni. L’altra è quella di essermi inoltrato in maniera romanzata e in un modo immaginario in quel rettangolo di sedici ettari e respirare quell’aria di forzata e ingiusta reclusione, auspicando che il lettore provi le mi stesse impressioni. Invece poi c’è il rammarico di aver avuto conoscenza tardivamente del luogo con oltre 2000 internati e della storia. Infine, il dover accettare la disattenzione delle istituzioni locali per la lenta valorizzazione del sito, oltremodo inidonea nel suo restauro nelle parti originali, secondo il parere di Italia Nostra e di alcuni giornalisti ebrei.
- Scrivere un libro ha un significato particolare per un autore: libertà, fantasia, ricerca e tanti altri ingredienti.
Una casa diroccata, il rivolo di un torrente, un mare in burrasca, un posto particolare,
tutto può concorrere a scrivere un libro. Ma per ciò che mi riguarda, significa soprattutto immergersi nell’immensità della memoria. Frugare costantemente nel mulinare dello spazio-tempo alla ricerca di luoghi, immagini, ricordi. Indagare su attimi di vita trascorsa rimasti sfocati, o impigliati nelle mille pieghe della mia mente, sbiaditi o impercettibili. Significa tentare di coglierli con attenzione come fossero oggetti di fragilissimo vetro e poi misturarli con la fantasia, amalgamarli con il carattere, con il modo di pensare e una punta di realtà. È questo in fondo, ciò che ci rende liberi di fantasticare.
a cura di
Gianluca Amatucci
- Arte
- Associazione Riscontri
- Attualità
- Casa editrice
- Cinema
- Comunicati
- Concorsi Letterari
- Critica letteraria
- Filosofia
- In libreria
- Indici Rivista
- Interviste autori
- letteratura italiana
- Libri
- Narrativa
- Poesia
- Rivista Riscontri
- Storia antica
- Storia contemporanea
- Storia del mezzogiorno
- Storia dell'arte
- Storia di Avellino e dell'Irpinia
- Storia di Napoli
- storia medievale
- Storia moderna
- Teologia e Fede
- Viaggio


