Gian Pietro Lucini, alias l’ardire sfrontato della leggerezza. Intervista a Isabella Pugliese

Isabella Pugliese oggi ci propone un saggio davvero unico nel suo genere, che illustra il lungo e complesso lavoro di critica letteraria di un artista sconosciuto ai più, ma che invece molto più di quel che ci si attenderebbe ha influenzato la storia e l’evoluzione della nostra letteratura: Gian Pietro Lucini.

Andiamo a farne la conoscenza e facciamolo proprio alla maniera sarcastica e provocatoria che di certo sarebbe piaciuta a lui, attraverso le risposte alle nostre volutamente svagate domande che, armandosi della giusta e sana dose di umorismo luciniano, ci ha gentilmente dato l’autrice di questo bel lavoro.

  • Isabella, ma chi era davvero Gian Pietro Lucini? Per chi all’epoca lo conosceva bene e ossequiosamente gli si riferiva, ma anche per chi oggi, e sono tanti, io in primis, non ne avesse mai sentito parlare prima… presentacelo in breve. E, già che ci sei, dicci anche perché e come mai le vostre strade si sono incontrate.

Per presentarvi e tentare una rapida ma efficace caratterizzazione di Lucini vorrei partire da due aggettivi: “appartato” e “caustico”, che a mio avviso rappresentano bene sia il Lucini intellettuale che il Lucini uomo comune. Partiamo dal primo: per me nessuno più di lui può essere definito “intellettuale appartato”, se con questa formula intendiamo chiunque volutamente e ostinatamente resti fuori dai circoli ufficiali, dalle etichette letterarie omnicomprensive, dai proclami sensazionalistici e propagandistici tanto presenti nei primi anni del Novecento. Lucini infatti è sempre in profonda distonia con il suo tempo e con i suoi contemporanei, potremmo dire che egli remi sempre “in direzione ostinata e contraria”, lanciando arroccato dall’alto della sua villa di Breglia sopra Menaggio, senza remora alcuna, stoccate affilate a chiunque provi anche lontanamente a limitare la sua indipendenza in campo artistico. Bisogna aggiungere che la separatezza luciniana è anche frutto di una particolare condizione fisica che gli impediva materialmente grossi spostamenti e quindi anche la partecipazione diretta a quegli ambienti letterari e artistici di cui abbiamo parlato prima. Lucini era infatti affetto fin dall’età di nove anni da una grave forma di tubercolosi ossea che lo porterà dapprima all’amputazione di una gamba e poi a una morte precoce. Probabilmente anche l’esperienza di una vita così dolorosa e “diversa” fin dall’infanzia ha contribuito alla definizione del suo carattere così particolare, sempre caustico appunto, ma anche intransigente ed esigente verso se stesso e gli altri, diretto, spesso cinico e per nulla incline a compromessi, capace di rara dolcezza solo verso l’amatissima moglie e “infermiera”, come lui stesso la definisce, Giuditta Cattaneo.

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«Poeta e ribelle»: Gian Pietro Lucini teorico e critico della letteratura (Franco Cesati Editore)

Per questi e altri motivi, l’incontro tra me e Lucini non può certo definirsi un amore a prima vista… Dopo la laurea specialistica in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli ho deciso di continuare la mia formazione nello stesso ambito, vincendo il concorso di Dottorato di Ricerca e scegliendo di dedicare le mie ricerche alla Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, divenendo anche per qualche anno cultrice della materia presso l’Ateneo Fridericiano. Lo sconosciuto per me (all’epoca) Lucini è stato l’autore su cui si sono quindi concentrati i miei studi e le mie ricerche per il triennio di dottorato e il primo incontro con la sua opera è stato tutt’altro che felice. La mole dei suoi scritti, esauriti e in parte ancora inediti, è assai ingente e complessa, direi spigolosa e caustica proprio come il suo autore. A prima vista io e Lucini non ci siamo piaciuti ma, come accade spesso nelle grandi storie d’amore, mano a mano che mi perdevo nel suo smisurato archivio conservato presso la Biblioteca Comunale di Como e potevo toccare davvero con mano la sua singolare e personale vicenda di letterato e di uomo ho cominciato ad apprezzare il suo acume critico, il suo sempre inedito punto di vista sulle cose e la forza eversiva delle sue idee. Alla fine, questa storia d’amore ha avuto un lieto fine.

  • Come in ogni ricerca che si rispetti, e soprattutto in una ricerca come la tua che si è mossa con grande perizia e destrezza tra fonti e canali inediti o poco convenzionali, molti sono sempre i dietro le quinte da poter svelare. Dài, facci entrare nei panni di chi fa questo lavoro: raccontacene qualcuno dei tuoi.

La mia ricerca si è mossa prevalentemente tra i faldoni dell’Archivio Lucini conservato, come detto prima, presso la Biblioteca Comunale di Como. Per circa tre anni ho ripetutamente e minuziosamente interrogato quelle carte, trascrivendo moltissimi materiali inediti di cui rendo conto nella monografia. Le sorprese letterarie non sono state poche: una volta mi sono ritrovata tra le mani un biglietto autografo di Pirandello, frutto di una inaspettata corrispondenza e vicenda editoriale condivisa con Lucini. Più spesso, invece, mi si sono parate davanti agli occhi intere raccolte di fotografie private della famiglia Lucini, a partire dalla primissima infanzia del nostro scrittore. Vedere Lucini bambino, sua madre e suo padre, gli scatti rubati alla loro vita privata di famiglia e più tardi quelli più intimi in compagnia della moglie mi ha fatto molta tenerezza e, anche se spesso in Archivio ero da sola, mi sono sentita quasi in imbarazzo e non del tutto a mio agio ad accedere a un aspetto così privato di una persona in fin dei conti a me estranea a sconosciuta. Ecco, sicuramente questo è un dietro le quinte molto interessante e appassionante del lavoro di ricerca.

  • E adesso dicci la verità: ma tu, tutte le ruvidezze, per non dire malignità, del tuo critico preferito, le tante che ci fai leggere nel tuo libro, alla fine le condividi o no? Secondo te, era lui che era troppo cattivo o siamo noi a essere troppo blandi e indulgenti?
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Isabella Pugliese

Direi che una risposta secca e univoca a questa domanda non è possibile… Per l’epoca Lucini rappresentava sicuramente una voce dissonante e parecchio fuori dal coro, basti solo pensare alla feroce ironia (a volte, perché no, anche cattiveria) esercitata contro l’acclamatissimo Vate D’Annunzio (e i suoi presunti tacchi all’interno delle scarpe) oppure contro Antonio Fogazzaro (e le sue alterne vicende matrimoniali). Celeberrime anche le stroncature letterarie luciniane, perpetrate senza alcuno scrupolo e senza eufemismi di sorta: Lucini o ama o odia, le vie di mezzo non sono ammesse nel suo universo esistenziale, il suo “sincerismo critico”, così come lo definisce lui stesso, è assolutamente disarmante.

Il gusto critico degli addetti ai lavori contemporanei è sicuramente più benevolo e maggiormente disposto ad accogliere bonariamente tali prese di posizione, anche se spesso ancora oggi mi imbatto in colleghi che continuano a considerare Lucini un vero e proprio monstrum della letteratura contemporanea, nonostante le recenti acquisizioni critiche iniziate da Sanguineti e dalla Neoavanguardia, a cui la mia monografia pure si raccorda.

  • Torniamo seri con una domanda questa volta da addetti ai lavori: prima che tu ti dedicassi alla realizzazione di questo volume, che cosa avevano già detto i posteri, di Lucini? E che cosa, a tuo avviso, è venuto fuori di particolarmente interessante e nuovo ora, dal tuo saggio?

In realtà i posteri di Lucini non si erano granché interessati a lui, condannandolo a un lungo oblio e abbandono critico per buona parte del secolo ventesimo. Il pubblico di Lucini era già stato poco numeroso mentre era in vita; dopo la morte diminuì notevolmente. La progressiva dimenticanza a cui l’autore lombardo è stato condannato può essere ricondotta a due motivi fondamentali: uno di ordine politico e un altro di tipo storico-culturale. In un primo momento lo scoppio della prima guerra mondiale, avvenuto quasi contemporaneamente alla scomparsa dello scrittore, non poteva certo essere favorevole a un autore spesso così antimonarchico e anarchico, e dunque in netto contrasto con le esigenze di propaganda a favore del conflitto bellico. Successivamente l’ascesa del Fascismo aggravò la situazione: uno scrittore come Lucini non poteva offrire nulla al regime, impregnate come erano le sue opere di motivi antiborghesi, anticolonialistici e antimilitaristici. La dimenticanza storico-culturale, invece, sarebbe da ascrivere alla condanna che tanta critica del Novecento, a partire da Croce, ha eseguito sul Decadentismo e sulla letteratura milanese di fine Ottocento. Del resto, se il gusto dominante del nuovo secolo è stato prima rondista e poi ermetico, appare evidente come Lucini non potesse essere apprezzato.

Come ho già detto, la riscoperta novecentesca di Lucini si deve in modo particolare a Edoardo Sanguineti che ha fortemente rivalutato la personalità dello scrittore lariano, facendone il primo sperimentatore europeo di tutte le tendenze decisive della cultura del suo tempo, e cioè di quelle che poi decideranno del Novecento in quanto tale. La mia ricerca prende sicuramente spunto da questo assunto e si propone di completarlo con qualcosa di nuovo: nella monografia si vuole dimostrare come la rivoluzione operata da Lucini nel mondo delle lettere contemporanee fosse più teorica che pratica. In questo senso a mio avviso appare più corretto affermare che Lucini non apre esattamente il Novecento, quanto piuttosto gli offre alcuni degli strumenti più importanti con cui sarà possibile operare in seguito. Le sue anticipazioni e innovazioni, le sue rivolte e le sue conquiste sono lasciate in preziosa eredità a personalità successive che hanno portato a compimento nella reale prassi letteraria ciò che Lucini aveva solo teorizzato. Lucini seppe offrire ossigeno in abbondanza alla letteratura italiana, certamente molto di più di quello che i suoi contemporanei vollero riconoscergli. Tuttavia l’ossigeno era contenuto più nella forza eversiva della sua idea di letteratura che nella concretezza delle sue opere letterarie. A ben altri, sicuramente più dotati di lui, spettava il compito di respirare appieno quell’ossigeno e di creare il Novecento letterario così come noi oggi lo conosciamo.

  • Facciamo ancora un gioco: abbiamo parlato di cosa avevano già detto di lui, di quello che hai aggiunto tu con il tuo libro, e adesso la domanda è: che cosa gli diresti tu, tu che lo hai conosciuto così bene per motivi di studio, cosa gli diresti se per magia potessi oggi incontrarlo in persona?

Poiché, come ho detto scherzosamente in precedenza, la storia d’amore (filologico e letterario) tra me e Lucini ha avuto un lieto fine, altrettanto scherzosamente (ma non troppo) sono assolutamente certa di cosa gli direi se potessi incontrarlo oggi di persona: gli direi di non cambiare mai, di restare sempre così fedele a se stesso, così sicuro del proprio valore e dell’esempio con il quale egli ha sentito di aver onorato la propria generazione e la Patria. La sua lungimiranza artistica e la sua onestà intellettuale, così spietata da essere perseguita spesso a qualunque prezzo, costituirebbero sicuramente l’argomento principale di una nostra ipotetica, e non credo del tutto pacifica, conversazione. D’altra parte, anche Lucini stesso, o lo si ama, o lo si odia. E per me, come nelle migliori delle storie d’amore, egli resta sempre un irrisolto odi et amo.

  • Grazie, Isabella, di questa tua bella e spiritosa disponibilità e voglia di dialogare con noi in leggerezza, alla maniera luciniana appunto; sono sicuro che i lettori di Riscontri l’hanno molto apprezzata. Ma adesso rivolgiti direttamente a loro salutandoli, e lascia loro un tuo ultimo messaggio: perché leggere Lucini oggi?

Oggi ritengo che la lettura di un autore così dissonante e così distonico come Lucini sia un’esperienza da consigliare vivamente. In un mondo così omologato e così serializzato come è quello odierno, la lucida prosa critica luciniana può insegnare una virtù a mio avviso tanto preziosa quanto rara, quella della sublime arte della disobbedienza, se così possiamo definirla, del pensiero critico e del pensiero differente. Solo così anche noi potremo essere poeti, come Lucini forse no ma ribelli sicuramente.

intervista a cura di Carlo Crescitelli

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