di Dario Rivarossa
Giambattista Vico era docente di eloquenza e retorica, quindi conosceva bene la regola di “non offrire argomenti all’avversario”. È questo – presumibilmente – il motivo per cui nel suo trattato di metafisica su «la più antica sapienza dei popoli italici», evita con ogni cura di menzionare Baruch Spinoza, foss’anche per contraddirlo. Perché piazzare lì in bella vista quel nome esecrabile avrebbe potuto solleticare il lettore a fare, anche inconsciamente, paragoni mentali tra i due sistemi di pensiero. E non è garantito che Vico ne sarebbe uscito pulito.
La tesi di questo articolo è che nel De antiquissima il grande filosofo sta barando. Bara, perché è falso o perlomeno opinabile che in latino determinate parole abbiano un determinato significato. Bara, perché è falso che un certo “Zenone” abbia fatto determinate affermazioni. Bara, perché dialoga con Spinoza facendo finta di prendersela con Descartes. Bara, perché dietro tutta quella geometria e “mechi-mecanica di precisiòn” si nascondono citazioni o riferimenti alla Bibbia, alla Scolastica medievale, al dibattito teologico in corso. Bara, perché, sebbene affermi che la sua metafisica è «confacente e opportuna alla devozione cristiana», a mancare è proprio lo specifico cristiano, vale a dire l’annuncio della salvezza, avvenuta in un tempo e un luogo precisi, «sotto Ponzio Pilato», per liberare l’umanità dal male… Oppure…?
Siamo nel XVIII secolo, epoca dei «lumi», che concretamente significano l’emergere forte di un certo modello di razionalità, a scapito di ciò che non gli si adegua. Siamo a Napoli, città dai mille succhi vitali miscelati, dalla storia antica e stratificata, «terribile e meravigliosa immagine di un’Europa ignota, posta al di fuori della ragione cartesiana» (Curzio Malaparte). Siamo nella Napoli cattolica di inizio Settecento, reazionaria e curiosa allo stesso tempo. Giambattista Vico aveva una partita non facile da giocare. Ma se l’è cavata – viene da pensare – divertendosi. E lasciando al lettore il divertimento di scavare fuori dalla polvere la sua Pompei di idee.
L’articolo completo è disponibile sul numero 2 (2020) di “Riscontri”