BONUM ITER, BONITO!

15,00 

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Specifiche
Sottotitolo

Romanzo antropologico

Autori

Salvatore La Vecchia

Pagine

258

Formato

14 x 22 cm

Anno

2019

Prezzo

€ 15,00

Una Spoon River irpina che ha «l’andamento di una passeggiata e la struttura di un paese». Un antropologo racconta un’immaginaria passeggiata lungo le vie di un paese del Sud descrivendone i tratti più caratteristici e collocandovi di volta in volta le storie di vari personaggi.
Storie di amori traditi, di vendette, assassini, soprusi, fallimenti, ma anche smargiassate divertenti e storie di successo come quella di Salvatore Ferragamo. Storie da cui emerge un mito: quello dell’America, ossessivamente presente nell’immaginario collettivo, ma che, a partire da un drammatico bombardamento, il “10 settembre 1943”, si sgretola progressivamente.
Parallelamente il paese stesso, come in preda a una sorta di patologia degenerativa, sembra sgranarsi come un’immagine fotografica troppo ingrandita, fino al proprio annichilimento identitario.
Il linguaggio segue l’andamento delle storie oscillando tra livelli letterari e livelli infimi, perfino “pidocchiali”. Tra i due estremi una gamma indefinita di soluzioni intermedie con l’intento di annullare la linea di confine tra alto e basso, tra quotidianità provinciale e storia universale, tra lingua e dialetto, fino a spaesare il lettore.

 

SCHEDA AUTORE

Salvatore La Vecchia, nato a Bonito (AV), vive a Chiavenna (SO). Dirigente Scolastico, per oltre venti anni ha insegnato Filosofia e Storia nei licei.
Studioso di dialetto, ha pubblicato Bonidizio – Dizionario bonitese – Alla ricerca di una comune identità (Delta 3, 1999): «Opera non comune in queste imprese» secondo il filosofo e linguista Tullio De Mauro, mentre per il lessicografo Manlio Cortellazzo «viene ad accrescere di molto le nostre conoscenze dell’avellinese». È autore di una trilogia di commedie dialettali: La Potea, 2003 (Premio Virgilio Barbieri 2004), La Massaria e La Chiazza. Nel 2010 con Mephite ha pubblicato La giostra del Principe. Il dramma di Carlo Gesualdo dal «respiro teatrale ampio, polifonico» – secondo il regista e scrittore Ruggero Cappuccio – «che racconta atmosfere storiche e interiori, allestendo un sabba di fantasmi che tornano a reclamare i loro diritti».