Maestre di ieri, scuola di oggi – intervista ad Annalisa Santi

Carlo Crescitelli intervista Annalisa Santi, vincitrice dell’edizione di esordio del nostro concorso “Un libro in vetrina”, sezione saggistica, con il suo saggio Di gesso e cipria. Maestre di fine ottocento tra storia, letteratura e seduzione (Marco Del Bucchia Editore, 2018).

 

  • Annalisa, innanzitutto le nostre congratulazioni. Questo tuo lavoro ci ha davvero entusiasmato, originale e al tempo stesso rigoroso com’è, e non vediamo l’ora di parlarne con te, per soddisfare le nostre tante curiosità al riguardo.

Sono io che ringrazio te e Riscontri per l’opportunità di far conoscere al pubblico questo mio saggio, in parte storico, sociologico e letterario. Mi è piaciuto il titolo del concorso “Un libro in vetrina”, perché interpreta il sogno di qualsiasi autore emergente, quello di vedersi collocato, seppur idealmente, accanto ai grandi nomi della narrativa mondiale. In un mondo sempre più digitale e immateriale, il riferimento alla vetrina di una libreria vera e reale mi ha decisamente attratto. Permettimi anche di presentare brevemente il titolo Di gesso e cipria: cercavo due elementi che fossero allo stesso tempo evocativi di un’idea ma allo stesso tempo riferibili al concreto. La polvere del gesso della lavagna sta alla scuola come un segno tracciato nella società, mentre la cipria descrive la femminilità della maestra: donna, insegnante ed educatrice, ma anche elemento legato alla sfera personale della rispettabilità e della rappresentazione della propria femminilità.

  • La prima cosa che mi ha colpito leggendoti è stato il tono di impegno adottato nel riportare la discriminazione femminile. Al di là dei contenuti specifici oggetto di trattazione, mi sono sentito emotivamente catapultato in un contesto da paese in via di sviluppo africano o asiatico, e/o contemporaneamente alle prese con rivendicazioni da “me too”: questo per esemplificare quanto io abbia trovato potente il messaggio di denuncia sociale che emerge dalle tue pagine. Tu ti rivedi in questa mia sensazione? Sei stata, sei un’attivista dei diritti delle donne, o il tuo è soltanto appassionato, efficace coinvolgimento di storico?

Senza dubbio entrambe le cose. Hai centrato subito il primo messaggio del libro e di tutte le cose vissute in prima persona: le prime donne che si avventurarono nel lavoro della scuola trovarono difficoltà che anche per me, insegnante a mia volta, non erano immaginabili. La figura “prestigiosa” della maestra è qualcosa di recente, che si afferma nella storia italiana a partire dal dopoguerra. Se risaliamo all’indietro nel tempo fino all’Unità d’Italia, momento in cui la scuola nazionale è nata, assieme ad un Paese ancora tutto da unificare, si scoprono realtà di disagio estremo. Le maestre, assieme alle prime impiegate delle Poste e Telegrafi, furono le prime temerarie a cimentarsi nella grande novità: ricoprire un posto di pubblico impiego, rompendo la tradizione che voleva le donne relegate al focolare domestico. Una rottura degli schemi spesso drammatica. Via via che procedevo nelle ricerche rimanevo sempre più colpita dalle situazioni di abuso, di relegamento sociale, di sfruttamento. Sì, la parola sfruttamento è forte, ma la ritengo adatta a descrivere quelle situazioni di raggiro e di prevaricazione a volte sfociate in suicidi. Quelle donne, rimaste quasi del tutto sconosciute, vittime sulla strada del progresso e dell’emancipazione, non hanno avuto targhe, convegni o giornate del ricordo o della memoria. Maestre sfruttate anche dal punto di vista salariale, se si pensa che la loro retribuzione, a carico del Comune, poteva interrompersi all’improvviso in seguito ad un licenziamento o venire modificata in qualsiasi momento in termini di baratto: legname, prodotti dell’agricoltura, dell’artigianato o altro ancora. A parità di titoli e anzianità, inoltre, la maestra donna veniva per legge pagata meno del collega uomo, secondo le tabelle della Legge Coppino. La femminilizzazione della scuola fu quindi anche un fatto economico: se si poteva risparmiare prendendo una donna, perché no?

Per quanto riguarda il mio impegno personale… sì, mi dedico da anni ad attività sindacali e in difesa degli insegnanti. Sul tema del libro fui relatrice a Napoli in un prestigioso convegno che parlava proprio dell’identità storica dei docenti: come vedi la Campania è destinata ad incrociare spesso e in modo gratificante la mia vita. Oggi gli insegnanti non devono più fare i conti con sindaci despoti dediti al ricatto o al licenziamento come lo erano alcuni tra quelli dell’Ottocento, ma esiste una tirannia invisibile, non meno tentacolare, chiamata burocrazia. Paradossalmente la digitalizzazione dei processi ha aumentato il carico di lavoro delle pubbliche amministrazioni, velocizzando in maniera ossessiva processi, valutazioni e ritmi di vita scolastica un tempo molto più “umani” e, se mi permetti, “di buon senso”. La burocrazia ha logiche incontrovertibili e chi incappa in un ingranaggio inceppato ne esce con enorme fatica. Ho saputo di una supplente che l’anno scorso ha dovuto “sopravvivere” per mesi senza stipendio, a causa di inghippi del sistema di inserimento dati. L’affitto, la scuola lontana, mezzi pubblici ad orari impossibili… Per un docente precario, spesso proveniente dal Sud, le prime supplenze sono vere e proprie corse ad ostacoli. Non va meglio per i docenti in ruolo: dietro l’angolo può sempre scattare un provvedimento punitivo per interpretazioni burocratiche di situazioni sempre più difficilmente interpretabili. Storie di oggi, non del secolo scorso…

  • Un altro degli importanti sottotesti della tua opera è quello della conformazione del messaggio di disciplina scolastica postunitario, della sua evoluzione tra liberalismo postsabaudo e prime istanze trasformiste. Quanto, a tuo avviso, di questa fortissima ideologizzazione della scuola che tu tratteggi – incrociandola oltretutto con l’abito di repressione sessista del tempo – è sopravvissuta fino ad oggi, e come? Siamo davvero finalmente liberi da quel tipo di schemi educativi claustrofobici, o c’è ancora da fare?

L’evoluzione del sistema scolastico nel nostro Paese è costata drammatiche fratture e scollamenti di sistema testimoniati da osservatori anche assai autorevoli, come OCSE PISA e altri ancora. La fase attuale legata alla corsa alla Didattica a Distanza non è che lo specchio di una scuola italiana ancora molto variegata al suo interno e regionalmente diversa. Una scuola che a volte deve rincorrere schemi europei, non dico al di sopra delle sue possibilità, ma generalmente diversi dai suoi contesti di vita. Giustamente tu usi il termine “claustrofobia”, che deriva dal latino “claustrum”, luogo chiuso, in cui si è dominati dalla paura di non trovare una via di fuga, o di libertà, se vogliamo dare valore simbolico alle parole. Io credo che la claustrofobia di oggi sia pensare che l’intero sistema scolastico italiano possa essere ricondotto a geometrie, proiezioni o risultati uniformabili. Non dobbiamo vergognarci di dire che le nostre scuole sono diverse da quelle tedesche e che gli studenti che vi vivono hanno caratteristiche espressive non sempre compatibili con le statistiche. Non si può negare che esistano aree e quartieri “ad alto rischio di dispersione”, sono le realtà in cui la scuola purtroppo fallisce nel suo obiettivo formativo. Avvicinare la scuola al reale contesto territoriale a cui si riferisce è una sfida da condurre e da vincere, perché è in quel contesto che gli studenti vivono, si muovono, giocano, si scontrano e, si spera, ancora sognano.

  • Un’altra delle cose che colpisce del tuo metodo di lavoro è il suo grande eclettismo: hai utilizzato fonti normative, archivistiche, giornalistiche, letterarie traendone sintesi inedite, efficaci, a volte inquietanti. È il tuo modo usuale di lavorare questo, o l’hai adottato specificamente per questa tua ricerca?

Questo è il mio consueto metodo di lavoro, che descrive una filosofia ben precisa, per certi versi significativamente sociologica: dagli archivi, dalla memorialistica, dalle fonti locali escono le caratteristiche precise di un determinato contesto. Senza lo studio dello scenario in cui avviene un determinato processo si fa solo astrazione, deduzione, ma non ricerca. Invece, in alcune epoche passate in modo particolare, forse più di oggi, letteratura e giornalismo si sono adoperati per fornire uno specchio fedele della società. Circoscrivendo il sapere all’ambito accademico, rivolgendosi sempre di più ad un pubblico di nicchia, si finisce con lo spegnere l’interesse della massa, che, giocoforza, da determinate proposte non si sente coinvolta. Il tema stesso del mio saggio, la scuola, è volutamente popolare e familiare. Quando uscivo a presentare il libro, prima che questa pandemia ci rinchiudesse nelle nostre case, la gente voleva raccontarmi i propri ricordi scolastici, la maestra, i compagni di un tempo. Questo è bellissimo. Prima la limpidezza e la verità dei sentimenti umani, poi tutto il resto.

  • Informandomi sulla tua produzione editoriale, ho scoperto che questo saggio si collega idealmente ad un altro tuo romanzo storico sulla vita di Matilde Serao: spiegaci come, e perché.

Il collegamento è strettissimo, ben più che ideale. Il saggio Di gesso e cipria è diviso, nel suo nucleo centrale, in sezioni geografiche e così ci sono le maestre dell’avanzato Piemonte, quelle povere della pianura padana, quelle della ricca Toscana. Seguendo con realismo com’era il paese all’entrata in vigore dell’Unità d’Italia. Per il Sud un’area a sé è dedicata alle maestre campane. Non potevo non confrontarmi con la figura commovente e coinvolgente di Matilde Serao, ricercando tra le sue novelle e i suoi ricordi biografici ritratti della scuola e delle maestre di allora. Nel percorso poi mi sono lasciata affascinare dal legame a doppio filo tra Napoli e la Francia e ho provato a rimettere in scena, tra le pagine del libro Napoli e la ballerina, quel mondo culturale popolato da personaggi sorprendenti. In quel mondo lo sguardo si è focalizzato su una ballerina francese, figura fragile di emigrata, nubile, senza lavoro, che incontra il giornalista Scarfoglio, marito della Serao. Partendo dai temi scolastici sono approdata al mondo notturno dei caffè, dei teatri e delle soubrette, ricreato in Napoli e la ballerina, uscito per Del Bucchia Editore soltanto tre mesi dopo Di gesso e cipria e presentato alla Fiera del Libro di Napoli del 2018 e da cui è stato tratto anche uno spettacolo con coreografie di danza classica ed hip pop, con la collaborazione di due artiste con esperienze al Festival Areniano e in TV.

  • Un argomento da addetti al settore: alla luce delle tue esperienze di studiosa, come vedi il mercato italiano della saggistica storica? C’è secondo te la giusta sensibilità di editori e lettori?

Purtroppo la mia risposta è negativa. La presenza del dibattito storico presente nella nostra TV è proporzionale al sostegno editoriale che si può percepire, pur con le dovute eccezioni. Se la narrativa storica ha saputo ritagliarsi spazi di attenzione, anche grazie ad autori che considero modelli in assoluto, da Manfredi a Pansa, per quanto riguarda la saggistica, a mio modo di vedere, l’ambito si è ristretto con il passare dei decenni. Talvolta interpretazioni eccessivamente accademiche hanno allontanato il grande pubblico da questo genere e fatto sì che nell’opinione comune si sia affermato il binomio saggio storico uguale noia. Ed è un vero peccato perché lo scopo del saggista storico è quello di indagare e gettare luce su fatti, accadimenti del passato, conducendo riflessioni critiche e tracciando chiavi di lettura anche in relazione con il presente. Tuttavia ho fiducia nel futuro e in una generazione di giovani autori che stanno crescendo, forse meno sofisticati ma con più cuore.

  • Senti, te lo chiedo perché tu sei nata, vivi ed operi nei territori locomotiva d’Italia, e noi invece nel fumoso e bizantino Sud, che tu però dimostri proprio in questo saggio di conoscere e di capire forse addirittura meglio di tanti nostri involuti interpreti… secondo te, è ancora così come allora, due mondi lontanissimi che non si sono forse mai incontrati e forse mai si incontreranno, o c’è una vera speranza di percorso comune? E se sì, a quali condizioni?

Parentele di mio marito, amicizie personali e passione per i viaggi mi hanno portato spesso al Sud, in particolare in giro per il Sud meno noto e turistico.  Ti posso dire che, secondo me, la prima vera macro-distinzione italiana non va fatta tra Nord e Sud, ma tra città e campagna. In alcune aree sperdute della Sicilia ho rivisto schemi culturali, gesti, atteggiamenti non così lontani da quelli di certe campagne padane, seppur figli di contesti molto diversi. Ma è un dato di fatto che le nostre città si siano evolute in modo assai diverso rispetto alle aree rurali. Dalla spinta all’urbanizzazione degli anni Sessanta ad oggi, quelli che sono gli stili di vita hanno determinato differenze sostanziali negli approcci relazionali e culturali in senso antropologico. Non ne faccio una categorizzazione di merito: semplicemente la vita è finita con l’essere a tal punto diversa in base alla zona abitata che le stesse abitudini sociali ne sono risultate condizionate. Se però riflettiamo sul futuro dell’unità italiana il mio pensiero ritorna a quanto affermavo prima: l’unica strada percorribile è la valorizzazione del contesto territoriale, credendo e investendo nelle sue infinite potenzialità. Le differenze non devono spaventare, ma la loro negazione è di per sé astrattismo miope.

  • Infine, la domanda con la quale ci piace concludere alla rovescia le nostre interviste: come ti presenti e ti vedi oggi, a questo punto del tuo percorso di autrice? Partendo anche da questa iniziale conoscenza che i nostri lettori hanno adesso di te – basata sulle tue risposte a questa intervista – come ti piacerebbe che questo primo rapporto con loro si approfondisse?

In questo momento della mia vita il mio sguardo sulla narrativa ha raggiunto una maturità nuova, che non avevo prima. Vorrei dare appuntamento a tutti i lettori con l’uscita del mio nuovo romanzo, un corposo romanzo che ha come in un triangolo tre vertici posati su Stati Uniti, Cuba e Berlino. Dalla costruzione del muro, all’isola durante il passaggio dal regime di Batista all’avvento di Castro, agli intrighi della Casa Bianca, con la vicenda del presidente John Fitzgerald Kennedy, simbolo di un’epoca. Le sue vicende: quelle politiche e quelle sentimentali, viste sia dall’angolo visuale maschile, sia da quello di Jackie, first lady anticonformista e ribelle, poco incline a compiacere ruoli ed etichette. E poi la lotta mondiale per la conquista del potere, la guerra fredda, la corsa al petrolio e agli armamenti, segreti politici e pericolose relazioni in un’epoca di grandi cambiamenti. Vite sospese non soltanto dei grandi della storia ma anche di persone comunissime, che il destino farà incontrare tra di loro.

Nelle decine di racconti che ho pubblicato in antologie confluiscono moltissime storie di vita vissuta, di persone che ho incontrato e di esistenze con cui sono venuta a contatto. Chi si è rivisto nei vari personaggi è in un certo senso felice di rivivere tra le pagine di un libro. Mi fa piacere pensare che anche quelle maestre di un tempo, oggi quasi del tutto dimenticate, siano importanti nella scuola che siamo e che diventeremo, quasi come se nulla dei loro sacrifici fosse andato perduto. Aveva davvero ragione Oscar Wilde quando affermava: Se non si parla di una cosa è come se non fosse mai accaduta. Si dà realtà alle cose solo quando se ne parla. E chi tra i lettori vorrà parlarmene potrà scrivermi a santiannalisactp@libero.it

Ad Maiora!

intervista a cura di Carlo Crescitelli

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