La scuola empatica: intervista a Menotti Lerro



 Oggi su “Riscontri” vi parliamo de “La Scuola Empatica” (o “Empatismo”), il nuovo Movimento nazionale che, partito dal Cilento si prefigge di risvegliare e innovare la cultura espressa generalmente oggigiorno nel Bel Paese, ed oltre, come testimoniano le innumerevoli e autorevoli adesioni provenienti dall’Italia e dall’estero. Il suo primo volume antologico è stato appena pubblicato con il titolo La Scuola Empatica: Movimento letterario-artistico-filosofico e culturale sorto in Italia nel 2020 (Ladolfi Editore). Noi di “Riscontri” sosterremo e seguiremo questo movimento innovativo con grande attenzione. Ne parliamo, dunque, con Menotti Lerro: poeta, scrittore, drammaturgo, critico letterario e iniziatore della nuova corrente basata sui principi espressi nel “Nuovo Manifesto sulle Arti”, di Menotti Lerro e Antonello Pelliccia, con il quale in moltissimi hanno da subito empatizzato.

  • Il Movimento prende luce all’interno del “Nuovo Triangolo Culturale del Cilento Antico”, costituito dalle comunità di Omignano – “Paese degli Aforismi”, Salento – “Paese della Poesia” e Vallo della Lucania – “Sede del Centro Contemporaneo delle Arti”, da te fondati. Ciascuno, dunque, con le sue peculiarità, ma tutto all’ombra del Monte Stella, che nella tua innovativa “Piramide Culturale” hai indicato come faro per l’intero comprensorio. Parlaci delle origini di questa affascinante realtà.

Le persone devono avere dei sogni e una visione lungimirante per poterli realizzare. Il lavoro, lo studio, la passione che la creazione del “Triangolo Culturale”, della “Piramide” e del “Movimento” ha richiesto, sono davvero intensi e sono il frutto di una vita dedicata ad un’appassionata ricerca nel campo delle Arti. Inoltre, sintetizzando, direi che desideravo oppormi alla condizione di miseria culturale che da sempre caratterizza la mia terra d’origine, il Cilento, il cui faro spirituale può essere riconosciuto nel Monte Stella, considerata la sua storia millenaria religiosa (penso alla chiesetta risalente circa all’anno 1000 e alle testimonianze megalitiche di origine eneolitica). Limiti profondi, dicevo, per quanto concerne la mentalità, che in cuor mio non ho mai accettato, decidendo, pertanto, fin da giovanissimo, di dare tutto me stesso al fine di mutare le sorti di questi luoghi, affinché possano un giorno essere indicati, da generazioni future magari meno inconsapevoli e più fortunate, come simbolo per ogni necessario e auspicabile cambiamento. Il mio è, dunque, tra le altre cose, un messaggio di speranza per la mia terra e per il mondo.

  • Il Manifesto insiste molto sull’importanza dell’interdisciplinarità che però non è un semplice dialogo tra discipline ma, come scrive Carlangelo Mauro, «contaminazione delle varie arti e dei saperi in una dimensione antropologica». In che modo il Movimento incarna questa visione?

Credo che, in fondo, in merito a questo, le mie convinte e appassionate dichiarazioni intorno alle Arti abbiano finito per amplificare amorevolmente, fuorviandolo, il messaggio. L’interdisciplinarità a cui faccio riferimento nel “Nuovo Manifesto” non è, a mio parere, obbligatoriamente necessaria per le Arti tout court, ma è assolutamente necessaria per me, per la mia ricerca di “verità”. Nel citato “Manifesto sulle Arti”, contenuto all’interno del volume pubblicato dall’editore Ladolfi, io racconto me stesso, affermando di avere delle pulsioni irrefrenabili per molte altre arti, ma lungi da me il pensare che tale impulso debba per forza appartenere ad ogni altro artista. Ognuno, a mio avviso, può e deve vivere l’Arte come meglio crede e nessun uomo può imporre una linea in questo senso. Detto ciò, aggiungo che oggi l’interdisciplinarità mi appare fondamentale per cogliere le frammentarie “verità” che la modernità riconosce, ma è chiaro che la ricerca di “verità assoluta” sia in fondo un altro falso problema o un  problema che riguarda solo chi in qualche modo, come me, la insegue per motivi artistici e personali…

 

  • Francesco D’Episcopo nota nel suo contributo che mentre il «Novecento è stato un secolo particolarmente empatico», dove «gli scrittori, gli artisti, gli intellettuali riuscivano a stare insieme», noi viviamo in un «secolo “più singolare”, fatto di personalità che hanno qualche volta difficoltà a incontrarsi e a inventarsi». Come spieghi questo ripiegarsi su se stessi tipico della nostra società? L’Arte, in tutte le sue forme, possiede ancora una forza liberatrice?

L’ipertrofia dell’Io ha determinato la solitudine occidentale. E la solitudine, insieme ad altre componenti, ha contribuito alla nascita di nuovi modelli di ricerca comunicativa, come i social network. È un dato di fatto. Queste mancanze di sana socializzazione non potevano che riguardare anche gli artisti. Poi la tecnologia compensativa ha finito per acuire ancor più le distanze, ed ecco che oggi, ad esempio, visitiamo mostre di pittura online, anziché in galleria o nei caffè letterari. Disperarci per quanto abbiamo perso? Troppo facile… Preferisco lottare per dare vita a nuove atmosfere di bellezza e di cultura… (Ma qualche lacrima furtiva concedetecela…).

Non è l’artista ad essere caduto in disgrazia, ma ciò che egli rappresenta. Che senso ha, paradossalmente, creare bellezza se ormai la “bellezza richiesta” è spesso (de gustibus…) raccapricciante? Gli artisti devono adeguarsi ai tempi anche per quanto riguarda i gusti, ma non a tutti i costi, credo. Adeguarsi oggi al gusto medio corrente significherebbe produrre (così come avviene) arte insignificante, artificiosa, frivola, inaridita… (penso ad esempio a tutti quei poeti che pretendono di pubblicare i loro libri senza mai averne letti di altri, né del passato né del presente… o a quegli artisti visivi che imbrattano le tele in modo estemporaneo senza possedere gli opportuni strumenti necessari di studio ben mirato… o ai cantanti con milioni di followers, sebbene non posseggano riconosciute doti vocali, ecc.). Insomma, la questione è spinosa e – mi verrebbe da dire – un po’ penosa… di certo noiosa. Il mondo faccia ciò che vuole. Quanto a me, ho poche ambizioni, e sogno solo di ricercare per tutta la vita quella che percepisco come una quintessenza di poesia… dinanzi alla quale mi inginocchio volentieri, sia essa di un ricco o di un povero, scritta sulla sabbia o su carta dorata, che sia suonata o cantata, dipinta, scolpita o danzata…

  • La Scuola Empatica è un movimento letterario, artistico, filosofico e culturale nazionale che nel “Nuovo Manifesto sulle Arti” restituisce centralità alla figura dell’Artista, con l’obiettivo di rinnovare la cultura attraverso le emozioni. In che modo l’empatia può liberarci da quello che viene definito nel volume lo «stato ipnotico di stupefatta e supina adorazione dello specialismo egoistico e dell’individualismo autoritario»?

L’empatia può determinare l’unione di persone che hanno concezioni e finalità parzialmente o del tutto simili. Ho fatto appello all’empatia, tra le altre ragioni, per invitare le persone a guardare l’altro, in cui non di rado si nascondono sentimenti e visioni condivise e condivisibili. Dunque, credo che si possa affermare che il Movimento Empatico non basa se stesso propriamente sull’empatia, ma sui sentimenti e le concezioni, intorno alla vita e alle Arti, espresse nel “Nuovo Manifesto sulle Arti”, che, attraverso una visione empatica, in molti hanno scoperto di voler condividere e sostenere. L’empatia non è esclusivamente il fine, ma soprattutto il mezzo. Anche perché il pensare che tutti noi siamo indistintamente portatori di sentimenti estremamente puliti e raffinati, è una solita bugia umana e letteraria. Noi siamo degli artisti, insegnanti, cultori del bello, ognuno con infinite sfumature e idee e visioni, che in questo momento stiamo empatizzando con le idee, evidentemente ritenute un po’ nuove, un po’ sagge, un po’ piacevolmente folli, espresse in quel meticoloso e sognante “Discorso-Manifesto” che un giorno io e Antonello Pelliccia decidemmo di diffondere.

  • Una domanda, infine, sulla figura dell’Artista Totale da te invocata. Potresti presentarcela?

La mia idea di Artista Totale (definizione usata similmente – e la cosa mi conforta – in passato da altri artisti, tra cui D’Annunzio e Wagner, sebbene devo dire che io non avessi minimamente in mente loro quando ne ho parlato…), dichiarata nel “Nuovo Manifesto sulle Arti”, nasce come conseguenza logica al desiderio di unione che ho espresso, anche attraverso il racconto del Mito di Unus, da me inventato. Un desiderio, dicevo prima, che caratterizza il mio sentire personale e la mia presa di coscienza sulla non reale divisibilità delle Arti. In altre parole, un giorno ho compreso (non scoperto) che le Arti sono solo apparentemente divisibili (almeno da uno dei miei punti di vista) e soprattutto ho percepito in me pulsioni crescenti verso altre espressioni artistiche. Questo mi ha “sfinito” (vista l’impossibilità di realizzazione), ma al contempo mi ha anche entusiasmato, sia come sfida personale ideale, sia nel comprendere che l’unico vero modo per dare corpo concretamente a tale figura emblematica, è rappresentato dall’unione tra gli artisti provenienti da ambiti diversi, cosa che, in pratica, avevamo già realizzato in quel momento (gennaio 2019), avendo appena fondando il Centro Contemporaneo delle Arti, che, ricordiamo, accoglieva, fin dal principio, membri/maestri provenienti da ogni campo artistico.

Il Movimento Empatico è, in altre parole, profondamente innovativo nel suo complesso rispetto alla contemporaneità per innumerevoli temi e motivi, ma non certo per aver inventato (non l’abbiamo mai detto) i principi di “interdisciplinarità” o di “unione” tra le arti, che, invece, sono da considerarsi degli elementi fondamentali della tradizione da noi condivisi e riproposti, tra le altre cose, nel nostro Manifesto.

intervista a cura di Ettore Barra

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