Elisabetta Sancino è la vincitrice della sezione B del Concorso “Riscontri Poetici”, edizione 2020, con la raccolta Il pomeriggio della tigre (Terra d’Ulivi, 2018, pp. 112, € 11.00). Abbiamo intervistato l’autrice per scoprire di più sulla sua inquieta e profonda poesia.
- Il pomeriggio della tigre: carismatico e intrigante il titolo della silloge poetica che, nell’energia impetuosa e nella trama appassionante dei versi, rievoca il fascino indomito e selvaggio della potente fiera. La tigre che è in lei esprime potentemente la sua forza narrativa e si aggira inquieta nel recinto delle emozioni. Nello sguardo profondo dell’iconico felino si cela il primo mio quesito: da cosa hanno origine la forza, l’inquietudine e il meraviglioso flusso vitale della sua poesia?
Il titolo della mia raccolta deve sicuramente molto alla Tyger di Blake, un autore che ha avuto su di me una grande influenza, sia per la potenza dei suoi versi che per l’originalità della sua produzione pittorica, fortemente visionaria. Come dice Blake, «il mondo dell’immaginazione è il mondo dell’eternità, che è la vera realtà»: la mia poesia è il risultato di un continuo scambio tra ciò che vedo intorno a me e ciò che succede dentro di me. Tutto il visibile, il vissuto, passa attraverso il mio occhio interiore e viene rielaborato dalla forza dell’immaginazione che si nutre anche di tutti i potenti stimoli che mi arrivano dalle più svariate letture e dal contatto costante con le opere d’arte. Forse in questa mia peculiare formazione letteraria e artistica sta l’elaborazione di un linguaggio che molti definiscono “multisensoriale».
- “La poesia è anche sangue in punta di lama” sussurri in una lirica, ricordando, con versi toccanti, il tragico evento dell’incendio alla Grenfell Tower di Londra. La poesia, la tua poesia in particolare, riesce, con grande empatia, a rievocare la sofferenza di eventi drammatici, salvandoli dall’oblio del tempo. Oltre all’importante patrimonio di conservazione della memoria e alla emozionante funzione del compianto, credi che la Poesia possa assolvere altri validi ruoli e possa rendere utili contributi nei drammi esistenziali dell’individuo e della collettività?
Nella mia produzione poetica in realtà ci sono pochi testi che appartengono alla cosiddetta “poesia sociale” e ciascuno di essi fotografa un momento molto preciso della cronaca che per me ha avuto un significato particolare. L’opera in questione è scaturita da un’emozione sconvolgente, da un bisogno di esprimere la mia vicinanza alle vittime di un dramma da me ancora più sentito perché conosco bene la zona di Londra in cui questa tragedia è avvenuta. Senza dubbio uno dei compiti della poesia è anche quello di denunciare i mali o i drammi che ogni giorno passano sotto i nostri occhi: compito non facile, perché il rischio di cadere nell’enfasi, nella retorica o nella banalità linguistica è sempre dietro l’angolo. Un’autrice straordinaria che coniuga la poesia di denuncia con l’attenzione profonda al valore della parola è quella della poetessa americana Adrienne Rich, da noi purtroppo ancora poco conosciuta e letta.
- Tra le tante, intense e toccanti liriche, una mi ha particolarmente affascinato. È la lirica “Lingua assolta”, nei cui versi si assiste a un inquieto gioco di specchi tra chi assolve e chi è assolto dal peccato di vivere e di scrivere. Nel riflesso velato delle due opache figure, l’assolutore e l’assolto, traspare il tuo profilo. Quale degli specchi rivela la verità ? Quale riflette di più la tua anima inquieta ? O sono sinceri entrambi?
La dicotomia presente in questo testo è una caratteristica che non sempre emerge nei miei scritti e vuole mettere in evidenza il lato oscuro, inquieto e fragile della scrittura, quello che solo il vuoto della stanza conosce. Un lato di me che spesso non viene a galla perché la mia poesia, così come il mio modo di vivere la vita, è fondamentalmente caratterizzata da un’energia incontenibile, da un fuoco che riesce quasi sempre a prevalere sul buio. Non è mai stato facile per me far convivere queste due polarità così opposte ma credo che sia proprio la complessità insita nel mio modo di essere a fornirmi un nutrimento spirituale ed emotivo costante.
- Milano “magnifica”, con “le sue costole di marmo” è una città che tu apprezzi e ammiri. È “la città che sale”. Qui, nel rumore della metropoli frenetica e vitale, risuonano i tuoi passi solitari. Qui la tua voce profonda diviene flebile sussurro, rivelando, in un impeto sincero, “ho mani buone (per)impastare il pane / che nessuno avrà il tempo di mangiare”. Milano, città icona dell’efficienza e del progresso, “non è più sorgiva / ha perso anche il sapore della nebbia”, dici in una bellissima immagine poetica. E allora ti chiedo: cosa ha perso realmente Milano? Quali principi, quali valori, quale parte della sua identità ha dovuto barattare questa tua amata città nella corsa frenetica al progresso? E, più in generale, cosa hanno perso le tentacolari città moderne e cosa sacrifichiamo noi tutti, figli dell’era digitale e della globalizzazione, sull’altare del benessere?
Io abito a 25 km dalla metropoli ma considero Milano la mia città d’adozione perché qui ho studiato e qui lavoro da molti anni lavoro come guida turistica. Il mio sguardo su Milano è quindi particolare e coglie aspetti che forse a coloro che vi abitano sfuggono: il pendolare arriva in città dalla periferia e ha sotto gli occhi costantemente il contrasto tra le due anime della città, quella patinata del centro e quella più complessa e contraddittoria dei sobborghi. Io sono in mezzo a questi due mondi e trovo il mio punto d’osservazione stimolante ed estremamente interessante. Ci sono quartieri di Milano che ho visto cambiare completamente, apparentemente in meglio, ma che forse hanno perso l’autenticità di un tempo. Da questo punto di vista concordo con Alda Merini che tornando in città dopo molti anni trova il quartiere dei Navigli completamente diverso e in un suo celebre testo scrive: “Milano è diventata una belva/non è più la nostra città/adesso è una grassa signora/piena di inutili orpelli”.
La Milano di oggi è senza dubbio più internazionale di venti, trent’anni fa e offre servizi d’eccellenza che ne fanno una delle metropoli più all’avanguardia d’Europa. Tuttavia, il progresso e soprattutto la globalizzazione hanno comportato cambiamenti radicali e a mio avviso non sempre positivi. Penso alla scomparsa di luoghi impossibilitati a reggere la sfida con le nuove catene di negozi e ristoranti: sono tante le tante librerie indipendenti che hanno chiuso, i piccoli caffè rimpiazzati dai fast food o dai sushi bar o le storiche botteghe artigiane schiacciate dalla concorrenza dei prodotti della grande distribuzione. Milano è anche una città tentacolare, il cui urban sprawl ha ingoiato chilometri di campagna e si è spinta non molto lontano dai luoghi dove sono nata e cresciuta, ora divenuti sempre più spesso anonima periferia, dove persino la nebbia non esiste più: la progressiva riduzione degli spazi verdi e la perdita del senso di appartenenza a una piccola comunità, tipica dei paesi che fanno ormai parte della metropoli, e il conseguente aumento della microcriminalità sono tutti fenomeni ai quali trovo particolarmente difficile abituarmi.
- La fretta, il vuoto, la solitudine di Milano fanno da contrappunto al canto delle “ossa danzanti, ancora vive” di Stonehenge, dove nel silenzio di pietra riecheggiano storie e voci del passato. I suoi versi raccolgono la musica del tempo e al tempo ne affidano il respiro. Sarà in grado la Poesia di rendere eterno il respiro della vita? È veramente possibile “evitare la morte imparando a scrivere”?
La poesia ha un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo, è necessaria quanto il cibo, l’acqua o l’aria. Il suo potere salvifico non coinvolge solo chi la fa ma anche chi la legge ed è a sua volta stimolato a pensare, talvolta a scrivere, a fare un viaggio dentro di sé maturando consapevolezze che possono davvero strapparci dalla banalità del nostro quotidiano e dal nostro destino mortale. In questo senso, la poesia per me ha un ruolo molto simile alla preghiera.
- E infine… nella potenza dell’urlo ruggente della tigre che fa eco nel cuore dei lettori… qual è l’eredità feconda che vuoi lasciare con questi tuoi preziosi versi?
Vorrei che i miei lettori potessero essere attraversati non solo spiritualmente ma anche fisicamente dai miei versi, offrire loro la possibilità di fare un viaggio che coinvolga i cinque sensi e li risvegli uno ad uno. Vedere il mondo da prospettive sempre diverse, mutevoli e anche contrastanti, rischiando di perdersi per poi ritrovare una parte inedita e nascosta di sé. Vorrei che si sentissero meno soli in questa avventura meravigliosa e imprevedibile che è la vita.
a cura di Emilia Dente