Il romanzo come cura



 

Il romanzo come cura

Intervista a Ninetta Pierangeli

Abbiamo incontrato  Ninetta Pierangeli, la vincitrice – con il suo romanzo “Asperger” (Giulio Perrone Editore 2022) della   sezione   narrativa dell’edizione 2023 del nostro concorso letterario per opere edite “Un libro in vetrina”.

Qui di seguito, il resoconto della nostra chiacchierata al riguardo.

Anzitutto i nostri complimenti per la bella affermazione di questo tuo lavoro, che colpisce per carica empatica e brilla per saggia astensione dal giudizio su di un tema complesso e difficile come è quello del disagio mentale; che viene significativamente inquadrato, all’interno della tua storia, in tante delle sue molteplici implicazioni sociali e relazionali. Questa tua impostazione della vicenda da te immaginata voleva essere un messaggio preciso di partenza, o è un effetto che invece è scaturito strada facendo con il progredire della tua scrittura?

Grazie per i complimenti, davvero. Quello che vorrei dire è che io sono una a cui piace raccontare storie e le storie sono sempre plurali. Non riesco a raccontare una storia sola, ma ho sempre in mente tante storie, anche se legate da un comune denominatore. Il disagio mentale colpisce probabilmente con la stessa frequenza del disagio fisico, ma è più difficile da riconoscere, da accettare, da affrontare. Il libro è un caleidoscopio di esperienze plurali, ognuna brilla della sua luce e contiene in sé la sua ombra.

Protagonisti, comprimari e attori della vicenda da te narrata vanno a comporre un mondo a parte che vede attivi e partecipi da un lato pazienti, caregivers, loro amici e parenti, dall’altro medici, professionisti del settore, strutture e istituzioni; in un microcosmo che include e abbraccia il quotidiano in senso lato, al di là dell’aspetto terapeutico strettamente inteso. Quali consapevolezze hai voluto maggiormente suscitare con questo tuo particolare approccio narrativo? 

La consapevolezza che il paziente e con lui i suoi familiari, sono sempre persone ferite, e questa ferita non è colpevole, non va giudicata.

Come sei arrivata ad assecondare la tua tensione a scrivere di queste cose, a concepire questo tuo progetto di storia? Studi personali, interesse teorico per l’argomento, percorso di idealità, incroci di vita vissuta, altro?

Sì, incroci di vita vissuta, sicuramente. Gente conosciuta proprio in un ospedale o appena incrociata attraverso la via. L’interesse teorico per l’argomento c’è, ma come ho già detto, a me interessano le storie dentro gli argomenti, più che l’argomento stesso. Interessa la vita che c’è dentro, la sua fragilità, la sua debolezza, ma anche la sua aspirazione alla speranza.

La prosa del tuo testo ha un andamento decisamente teatrale; dando direttamente voce ai singoli, che ci si rivolgono in prima persona uno dopo l’altro e senza filtri proprio come se fossero su un palcoscenico, la tua scrittura esalta molto il lato drammatico del racconto e dell’azione. è una tecnica mirata al tema affrontato, allo specifico contenuto da esporre, a una tua definita idea di sviluppo di quella trama, o piuttosto una soluzione di stile che hai già adottato altre volte, che magari ti caratterizza in genere?

Devo dire che dare direttamente voce ai protagonisti delle storie, entrando nelle loro esperienze così come essi stessi le vivono è una tecnica che mi piace perché esclude dalla narrazione il ruolo della finzione del narratore ed entra direttamente nel cuore delle vicende, senza mediazione.

Che tipo di lettori e lettrici ti sei immaginati, che aspettative nutri dal confronto con loro?

Immaginare il mio lettore è una cosa che io non faccio, anche se il marketing lo richiederebbe. Non immagino chi sia il mio lettore, ma intravedo qualcuno che non è appiattito sull’immediato, e ha voglia di conoscere la realtà e i suoi volti, sfaccettati e spesso incongruenti.

Qual è il futuro prossimo della gestione del disagio? Esistono già, o magari anche sono in arrivo dietro l’angolo, risposte di efficacia paragonabile a quelle da te prefigurate lungo il dipanarsi della tua storia di finzione?

Che io sappia, centri neurologici che si occupano del disagio anche psichico ce ne sono. Un centro con una capacità di intervento così molteplice e che sia in carico al Servizio sanitario nazionale, non lo so. A Roma, dove si svolge la storia, probabilmente no. Il futuro della gestione del disagio parte comunque, secondo me, dalla necessità di una sua decolpevolizzazione sociale. Chi vive in questo disagio o ha familiari con disagio, ancora oggi, nel 2023, tende a nasconderlo, a occultarlo, a viverlo come una colpa, non come uno dei tanti eventi avversi o negativi che possono accadere nella vita e che vanno affrontati, semplicemente, con gli strumenti a disposizione, per quanto scarsi e precari.

Intervista a cura di Carlo Crescitelli