Autore: Giuseppe Alessandri
Collana: Storia del Mezzogiorno, n°9
Pagine: 159
Formato: 17x24
Anno: 2015
Quanto lavoro ha dato alla giustizia italiana Vito Nardiello! Per le cronache fu il più feroce dell’infinita schieradi banditi che popolarono la scena criminale italiana nel tragico e sofferto secondo dopoguerra. Ma nella concreta realtà in cui visse agli occhi dellagente egli rappresentò assai di più: una maledizione, un personaggio, una leggenda.
Dopo una giovinezza che lo aveva già visto manifestare una natura violenta nonché una certa tendenza delinquenziale, Nardiello trovò la propria vera dimensione nel corso del conflitto bellico, finendo in Jugoslavia, divenendovi uno dei capi dell’esercito di Tito e sterminando centinaia di connazionali nelle foibe. Per lui la vita altrui valeva davvero poco: numeri con cui aggiornare sopra un gagliardetto-registro il numero delle sue vittime; quasi ad imitazione di quei pistoleri del West che incidevano sul calcio della pistola tante tacche quanti morti avevano fatto.
Fu nel disastrato contesto meridionale del dopoguerra che Vito decise di formare una banda criminale, composta perlopiù daavanzi di galera del suo paese, Volturara, e finalizzata alle rapine stradali messe in atto mediante ostruzioni della via: se alla vista dell’ostacolo l’automezzo si fermava, bene; se invece provava a scavalcarlo o a tornare indietro, allora dai banditi appostati tutt’attorno piovevano schioppettate e mitragliate. Dopo esserci andati vicini diverse volte, venne il giorno che ci scappò il morto: probabilmente non per una raffica partita dal mitra di Nardiello.
Fu così che nell’immaginario collettivo si compì la leggenda di Vito Nardiello, inafferrabile primula rossa che si faceva beffa dello Stato e della giustizia, le cui gesta animavano le cronache dei giornali come le ballate dei cantastorie offrendo materia per gli stessi racconti della gente nelle veglie invernali davanti al camino.
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