Carlo Crescitelli intervista Nicola Monino, vincitore della prima edizione del nostro concorso “Un libro in vetrina”, sezione narrativa, con il suo Le paure dei lupi (L’Orto della Cultura, 2017).
Nicola, prima di incominciare, i nostri complimenti per la tua bella affermazione: il tuo ottimo lavoro ci ha convinti per l’eleganza, la misura, l’ispirazione e la profondità che vi si concentrano. Ma passiamo subito alle tante cose che adesso noi di Riscontri ed i nostri lettori vogliamo sapere di te.
- Quello che più mi ha affascinato, sin dalle prime pagine della tua storia, è stato il ritrovarmi da subito catapultato in un universo di tipo più sensoriale che discorsivo, di immagini evocate più di che parole scritte, dove la fanno da padrone suoni e rumori, odori, freddo e calore, luce e buio… quindi delle due l’una, o magari anche tutte e due: o sei un uomo dei boschi tu stesso, un escursionista superesperto – come credo – o viceversa hai esperienza o talento per la scrittura di tipo cinematografico e televisivo, cosa che non si può escludere, visti i così brillanti risultati, e visto che sappiamo anche che sei un fotografo… facci capire.
Lo scopo era quello di creare delle immagini che potessero contestualizzare l’ambiente. La fotografia ci insegna a riconoscere il dettaglio e ad adoperarlo in modo creativo e fantasioso. Ho cercato di fare questo, pescando nella memoria visiva di certi scenari e paesi visitati; rimasti dentro di me. È stato un lavoro lungo e faticoso che aveva però uno scopo nobile. Voleva essere un regalo. Un regalo per i miei due figli. Sentivo l’importanza di donare loro una parte della mia sensibilità, che trova la sua forza nel rapporto con la natura. Trasmettere l’equilibrio e la misura di questo mondo lo riconosco come un dovere. È un modo per saper discernere la propria posizione nei confronti di qualcosa che appartiene a una realtà antica e arcaica. Ho cercato di interpretare il tutto con quella parte istintuale che mi caratterizza e il risultato non poteva che essere un omaggio di luci, odori, sapori, rumori, suoni…
- Sempre a proposito di boschi: per quanto io possa aver trovato la natura che tu hai eletto a palcoscenico della vicenda non troppo dissimile da quella dei nostri ben più modesti monti irpini, purtroppo viviamo lontani e personalmente non mi è ancora mai capitato di avere il piacere di visitare le tue zone. Tu inoltre, per delineare meglio le tue atmosfere fiabesche, fornisci volutamente pochi dettagli geografici, e così, quando sono andato a googlarli, mi sono ritrovato davanti a riferimenti scarsi, incerti e in qualche caso anche piuttosto lontani fra di loro; o almeno così mi è sembrato. Perciò te lo chiedo pedestremente: dove esattamente ci troviamo? O magari hai mescolato con la fantasia più di una specifica località?
Non volevo localizzare il racconto in un territorio preciso. Mi piaceva l’idea che questa storia potesse appartenere a tutti e che tutti potessero ambientarlo in una zona a loro conosciuta.
Ho preso come riferimento la montagna e basta. Il tutto doveva partire da un punto e girarci attorno. L’attenzione doveva concentrarsi sulla tragedia e sulla paura. Il paese rappresentava, solamente, uno dei tanti borghi che per decenni hanno animato le montagne, forgiando uomini e donne dalla tempra importante. La fantasia poi ha fatto il resto.
- Veniamo ai tuoi personaggi: anche qui, proprio come fossero quelli di un film, incarnano sottotrame e drammi paralleli che si incrociano, si sovrappongono e in qualche caso si antepongono alla linea di racconto principale, arricchendola e caricandola di spessore e significati ulteriori. Non c’è che dire, sei stato davvero bravo, per essere alla tua prima prova di romanzo: c’è qualche riferimento, reale o letterario, che hai preso a modello per l’architettura di storia che hai costruito?
Per quanto riguarda i personaggi non ho dovuto inventarmi niente. Sono stati loro a cercarmi e come d’incanto sono esistiti veramente dentro di me. Non so spiegare questa cosa ma forse sono il frutto di un mix di persone conosciute chissà quando e dove. Mano a mano che la storia si modellava, anche loro si arricchivano di particolari e caratteristiche, prendendo la loro forma definitiva. Due parole su Michelino è impossibile non spenderle. Volevo fosse il simbolo della forza e della caparbietà, nella sua purezza d’animo. Per alcuni lettori è lui il protagonista, per altri è il lupo, per altri ancora è il padre. In realtà per me il ruolo principale ce l’ha la paura che tante volte è quell’emozione che ci fa fare cose straordinarie o al contrario ci paralizza, rallentandoci. Forse l’unico modo per affrontarla è proprio quel camminarle incontro che, incoscientemente, ha fatto il piccolo.
- Dal testo traspare amore e rispetto per la cultura e le tradizioni del territorio: le più varie, dalle feste, all’osteria, alla grappa, alla zuppa di fagioli e patate, giusto per citarne alcune. Può, secondo te, una svolta di attenzione ambientale e di recupero delle identità tradizionali locali costituire una valida risposta alle crisi ed alle emergenze di questi ultimi anni? In che modo?
Apparteniamo a un mondo globalizzato e in continua evoluzione. Quello che fino a pochi anni fa sembrava impossibile, adesso fa parte della normalità. Siamo all’interno di una Europa che sta cercando un equilibrio tra i vari stati membri per poter essere più competitiva a livello mondiale. Eppure ci commuoviamo e ci emozioniamo ancora davanti a un profumo, un sapore, un rumore che ha caratterizzato la nostra infanzia. Questa è cultura personale che va al di là di qualsiasi logica economica o sociale. È il nostro rapporto con le radici che ci accompagnerà per tutta la vita. Penso che il nostro territorio stia affrontando una grande sfida: riuscire ad integrare il nuovo, mantenendo forte il senso della tradizione.
Se le generazioni che verranno, accompagnate dal nostro esempio, riusciranno in questa fusione il futuro sarà più giusto.
- In un contesto naturale così mistico e suggestivo, nel quale la palma di veri interpreti tocca non solo agli umani, ma anche ad animali e piante o elementi, come il ciuffolotto o il faggio secolare, quando non addirittura i sassi, le petraie o l’acqua di sorgente, una indagine a parte merita il tuo protagonista indiscusso, non a caso neanch’esso umano: il lupo. Con noi irpini, sfondi una porta aperta, visto che per noi è addirittura il totem ancestrale, l’animale guida delle antiche tribù sannite dalle quali discendiamo… E allora, un po’ più in generale: che cos’è il lupo, nell’immaginario umano? Un nemico? Un alleato? Entrambe le cose? O forse ancora qualcosa di altro o di più?
Il lupo è il lupo. Ognuno di noi lo vede con occhi diversi. È più di un animale. Io lo immagino come un’anima antica che vaga per i boschi e ne è il titolare indiscusso. Appartenere alla sua storia è per pochi. Solo certe anime gentili possono avvicinarvisi.
Roberta Valle che ha fatto le illustrazioni del libro, secondo me, è riuscita a rappresentarlo perfettamente nella sua nobiltà e nella sua ferocia. Le due facce della stessa medaglia.
- Con questa domanda vado facile: i tuoi progetti per il futuro. Del resto, sei tu stesso che ti sei autoqualificato come esordiente: quindi, sogni nel cassetto e conseguenti piani operativi ne avrai sicuramente ancora molti… o no?
Sarebbe bello riuscire a dare di nuovo vita a questi personaggi, magari sotto una nuova forma e dimensione. In molti credono che la dipartita sia un modo per rinascere e affrontare una nuova esistenza. Forse Renzo, Monica, Michelino, Don Remo e gli altri stanno nascendo di nuovo. Chissà…
Certo non ti nascondo che li vedrei in un contesto cinematografico o televisivo. Sarebbe bellissimo.
- Avrai capito che ci piace fare le cose in modo creativo, ed è per questo che ciò che avrei dovuto chiederti all’inizio – cioè di presentarti al nostro pubblico – ti chiedo invece di farlo in chiusura. Nella scheda di partecipazione al concorso sei stato singolarmente laconico; adesso, riprendendo e riassumendo quello di te il nostro pubblico ha appena scoperto leggendo questa intervista, puoi cogliere l’occasione di mandare un messaggio a cui tieni, magari non ancora emerso nei discorsi sin qui tra noi fatti.
Non sono bravo a presentarmi. Sul libro non ci sono le note sull’autore. L’editore mi ha chiesto come mai non le avessi messe. Semplicemente ho pensato non fosse una cosa importante. Vivo a Udine e sono felicemente sposato. Ho due figli che amo tanto. Questo sono io.
Riguardo al messaggio… Tiziano Terzani diceva che un uomo dovrebbe ricordarsi, sempre, di lasciare ai propri figli anche un testamento spirituale, non solo materiale. Secondo me è un’ottima idea.
Grazie per l’opportunità che mi avete dato.
intervista a cura di Carlo Crescitelli
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