Yasir, adolescente di Herat, Afghanistan, intraprende con entusiasmo, nonostante le perplessità di suo padre medico, una fortunata carriera da pugile che lo porterà prima a Teheran, in Iran, e poi negli USA, a Boston. Ma con il passare del tempo torna a farsi sentire il richiamo delle sue radici… questa, in estrema sintesi, la trama de Il regalo del Nawruz di Gianluca Ellena (Youcanprint), romanzo segnalato di interesse tra quelli candidati al nostro da poco concluso concorso “Un libro in vetrina”. L’autore ha gentilmente acconsentito a soddisfare alcune nostre curiosità.
Il regalo del Nawruz
di Gianluca Ellena
- Gianluca, grazie della tua disponibilità e del tuo tempo. Incomincio subito con il mio fuoco di fila di domande: si tratta di una storia vera, o almeno vera in parte?
Carlo, grazie a te, come tante storie, anche questa raccoglie piccoli pezzi di esperienze, magari diverse nel tempo e nello spazio ma il filo conduttore, per certi aspetti è unico.
- A leggerti, è evidente come tu conosca più che bene il mondo della boxe… secondo me l’hai praticata tu stesso: dico bene?
Sì, vero, l’ho praticata da ragazzo e oggi sono un arbitro della Federazione Pugilistica Italiana, attività che mi ha permesso di entrare in contatto con tanti giovani pugili alcuni dei quali vengono da paesi lontani e praticano per l’appunto il pugilato al livello agonistico.
- Dalle tue pagine emerge anche come tu conosca in profondità anche il complesso pianeta Asia Centrale: i suoi tanti popoli, le loro vive culture, le loro concrete sensibilità. E infatti tu hai lavorato e forse anche vissuto in qualcuno di questi paesi, giusto?
Sì, ho trascorso diverso tempo nell’Afghanistan occidentale, ho avuto modo di conoscere tanta gente, una popolazione giovane animata da buona volontà e un senso dell’ospitalità e del rispetto a noi occidentali sconosciuto. Trovo che spesso si tenda a semplificare e a scivolare negli stereotipi quando si parla di paesi come l’Afghanistan o l’Iran, civiltà cariche di storia e cultura. Voglio svelarti un segreto: in quasi tutti i miei romanzi cito i versi di Omar Khayyam, il grande filosofo, matematico e poeta persiano famoso per le sue quartine.
- Dei vari mood del tuo libro, mi sono rimaste specialmente impresse queste parole del giovane Yasir, quando lui ricorda: «Parlare del futuro rimarca insicurezza e mancanza di fede, diceva il mio insegnante di Religione». Che valore acquista questa affermazione, nel contesto della sua vita in piena evoluzione?
Il concetto del futuro in una società asiatica rurale è profondamente differente da come noi lo intendiamo: il fatalismo che io racconto nel mio romanzo è in realtà vicino al concetto di Provvidenza quindi un subire il volere di Dio in una maniera positiva, una accettazione convinta al pari della Fede stessa. Yasir è un ragazzo “pio” nel senso di devozione religiosa, senza quel fanatismo spesso superficialmente attribuito a certi popoli.
- Ad un certo punto della vicenda – ora non posso rivelare altro per non toglierne il pieno gusto ai lettori – la filosofia della boxe diventa per Yasir un metro di valutazione di altri contesti, altre scelte, altre quotidiane conflittualità. Queste digressioni sul valore educativo dello sport agonistico, e di quel particolarissimo sport per giunta, le ho trovate molto belle. Ci diresti qualcosa di più al riguardo?
La boxe è uno sport costruito attorno a delle regole molto rigorose. Da arbitro posso dirti che chi pratica questo sport con coscienza e passione rispetta prima di tutto l’avversario. È uno sport nato per far confrontare due atleti su un piano cavalleresco, le scorrettezze vengono sanzionate fino ad arrivare alla squalifica. Lo stesso ruolo dell’arbitro è molto importante in quanto il suo operato e strettamente connesso alla salvaguardia dell’integrità fisica dei pugili. Per esperienza diretta posso dirti, senza essere esageratamente di parte, che c’è più correttezza e rispetto nel pugilato che in altri sport molto più visibili e seguiti.
- Perché proprio questa storia andava secondo te raccontata? Cosa potrebbe suggerire o rappresentare, da un punto di vista più universale?
Questa storia rappresenta la genesi del giovane Yasir, ne ricostruisce la formazione e il suo passato con le sue esperienze in Iran e negli Stati Uniti. È in un certo senso il punto di partenza delle altre storie che seguiranno. In effetti esiste anche un seguito che però è un puro romanzo giallo che invece di ambientarsi in nord Europa come va tanto di moda in questo periodo, si svolge nella affollata e multietnica Kabul e le indagini sono condotte dalla polizia e dalla magistratura afghana.
- Esiste anche una versione inglese del tuo romanzo, vero?
Certo, tradotta da Rosemary Dawn Allison. La sensazione di leggersi in un’altra lingua è davvero incredibile, Rosemary è stata scrupolosa al punto da recarsi di persona in una palestra di pugilato per essere sicura di aver reso nella maniera corretta alcune espressioni tecniche.
- Da dove la scelta di autopubblicare, per la versione italiana nello specifico? Non hai trovato la casa editrice giusta, o non ne hai cercate affatto?
Ti ringrazio per questa domanda alla quale voglio rispondere nella corretta maniera e con il giusto tono. Sono arrivato al settimo romanzo dopo due pessime esperienze con altrettante Case Editrici. In alcuni casi mi sono trovato di fronte a mancate risposte da parte di Case Editrici a cui avevo inviato i miei scritti o a richieste di denaro. Inutile parlare di agenzie editoriali, nella maggior parte dei casi sono stati richiesti contributi solo per leggere il manoscritto. Sono arrivato alla conclusione che l’auto pubblicazione rappresenti un modo per svincolarsi da una serie di dinamiche che a mio parere ostacolano la voglia di scrivere. Sono consapevole che si tratta di un percorso tortuoso, i romanzi auto pubblicati spesso sono esclusi dai concorsi editoriali e questo è un aspetto con cui bisogna fare i conti. Spero di trovare qualcuno che mi possa fare cambiare idea.
- Sappiamo che nel tuo futuro di autore c’è una prossima serie di titoli che parleranno delle indagini di un commissario afghano. A questo punto siamo veramente curiosi: in bocca al lupo, anticipaci almeno un primo appuntamento!
Il naturale seguito del Regalo del Nawruz è Neve sporca a Kabul, pubblicato circa tre anni fa, un vero e proprio giallo in salsa afghana dove c’è un omicidio con relative indagini e in ultimazione c’è Yasir e il ritorno dei Talebani, il terzo episodio della serie, molto attuale in quanto legato al processo di pacificazione tra il Governo Afghano e i Talebani il cui complesso ruolo, nella storia, di sicuro sorprenderà i lettori.
a cura di Carlo Crescitelli